9 Dicembre 2015

Esonero contributivo Legge di Stabilità 2015 e comportamenti fraudolenti

di Andrea Asnaghi

 

L’esonero contributivo previsto dalla Legge di Stabilità 2015 (L. n.190/14), insieme con una serie di requisiti formali, deve sottostare a una logica complessiva volta alla promozione di nuova occupazione. L’indubbia attrattiva esercitata dal cospicuo vantaggio in termini di costo del lavoro può tuttavia far emergere taluni comportamenti volti ad abbattere indebitamente l’onere contributivo (attraverso l’ottenimento del beneficio) mediante espedienti semplici, o a volte anche particolarmente elaborati, che tendono ad eludere i vincoli posti dalla norma.

Esemplificando alcuni casi e conseguenze della fattispecie, si vogliono mettere in luce anche le criticità del testo normativo e le difficoltà dell’azione di controllo.

 

Esonero Stabilità: riepilogo sintetico su limiti e condizioni

L’articolo 1, co.118, Legge di Stabilità 2015, ha previsto, come è noto, un’importante incentivazione per la promozione di occupazione stabile e non precaria (con tutti i limiti di questa definizione), andando ad incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato con un esonero contributivo.

In buona sostanza, la misura in argomento si sostanzia in un esonero – della durata di 36 mesi dalla data di assunzione – dal versamento dei contributi previdenziali a carico dell’azienda (resta la quota a carico dipendente) a favore di tutti i datori di lavoro privati, anche non imprenditori (con esclusione dei datori di lavoro domestici), per:

  • nuove assunzioni;
  • a tempo indeterminato;
  • effettuate nel corso dell’anno 2015.

L’esenzione può riguardare un importo massimo fino a € 8.060,00 annui di contribuzione previdenziale e assistenziale (quindi non riguarda l’Inail), importo rapportato a mese e/o a giorno di lavoro effettivo, ridotti proporzionalmente in caso di occupazione part-time.

Per poter fruire dell’esonero, soltanto due sono le condizioni che riguardano il lavoratore:

  • nei sei mesi precedenti all’assunzione il lavoratore deve risultare privo di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; a questo riguardo, cioè per quanto riguarda le caratteristiche dei rapporti precedenti ostativi o meno all’esonero, con successive specifiche è stato chiarito che l’esonero spetta comunque per precedente assunzione a tempo indeterminato ma con lavoro intermittente, mentre non spetta in caso di precedenti rapporti a tempo indeterminato sia in somministrazione che nel lavoro domestico, così come per rapporti indeterminati svoltisi all’estero o per apprendistato;
  • a fini di intercettare possibili comportamenti elusivi (e ciò ci porta al cuore del presente commento), nel periodo 1.10.14-31.12.2014 non deve essere intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra il lavoratore e il datore che (ora) lo assume, e ciò vale anche relativamente ad aziende collegate, controllate, o comunque in qualsiasi modo (“anche per interposta persona”) riferibili al “nuovo” datore di lavoro, con le quali sia intercorso un rapporto indeterminato.

Alla fruizione dell’esonero non osta, relativamente alle due osservazioni precedenti, nessun altro tipo di rapporto (diverso dal tempo indeterminato), ancorché esercitato verso lo stesso datore di lavoro attuale; per esemplificare: pensionati, ex artigiani o commercianti, ex agenti o professionisti o imprenditori, somministrati a termine, assunti a termine, ex co.co.co. e co.co.pro. sono tutti attività o rapporti precedenti che non impediscono l’esonero contributivo, nemmeno se esercitati a favore del medesimo soggetto (ora datore di un lavoro a tempo indeterminato) e nemmeno (ovviamente) se cessati da meno di sei mesi.

Vi sono inoltre ben determinate condizioni generali – stavolta riferibili esclusivamente al datore di lavoro e applicabili in via generale all’intero corpus delle agevolazioni sul lavoro – per fruire dell’esonero, suddivisibili in due grandi gruppi:

1. Rispetto delle norme fondamentali in materia di lavoro e assicurazione obbligatoria (art.1, co.1175, L. n.296/06 – Finanziaria 2007), ovvero:

1.1 – regolarità nel versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e assenza di violazioni, accertate passate in giudicato, di norme particolari riguardanti la tutela e la sicurezza delle condizioni di lavoro (in pratica, i requisiti per l’ottenimento del Durc positivo);

1.2 – rispetto dei contratti collettivi nazionali (e di secondo livello) stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

2. Assenza delle condizioni ostative al godimento di benefici contributivi, stabilite in via sistematica dalla L. n.92/12 (Riforma Fornero), art.4, co.12, ora abrogato e sostituito dall’art.31, D.Lgs. n.150/15:

2.1 – assunzioni che violino un diritto di precedenza, fissato da leggi o contratti (es. in caso di licenziamenti, somministrazione, contratti a termine, cambio appalto, etc.), anche attraverso la stipula di un contratto di somministrazione; l’agevolazione deve anche intendersi esclusa se nei 6 mesi precedenti si è proceduto a licenziamento per riduzione di personale della stessa qualifica;

2.2 – se il datore o l’utilizzatore (in caso di somministrazione) siano interessati, nell’unità produttiva ove avviene l’assunzione, da sospensioni dal lavoro con intervento di ammortizzatori sociali, salvo che l’assunzione avvenga per mansioni di livello diverse da quelle dei lavoratori sospesi;

2.3 – se l’assunzione (anche in somministrazione) riguardi lavoratori licenziati nei 6 mesi precedenti da parte di un datore di lavoro formalmente diverso da quello che assume, ma rispetto ad esso collegato, controllato o con assetti proprietari coincidenti;

2.4 – mancanza della comunicazione telematica obbligatoria (mod. UniLav o UniSomm) di assunzione o di conferma/trasformazione, nei termini di legge, inerente l’assunzione in questione (se non intervengono nel frattempo contestazioni di lavoro nero, l’esonero non è comunque perso per sempre, ma solo per il periodo compreso fra l’inizio del rapporto e l’inoltro della comunicazione tardiva).

 

La fruizione illegittima e il diverso concetto di frode

Come si evince, sono possibili diverse fattispecie per cui l’esonero contributivo non spetta e, nel caso in cui sia stato comunque fruito, venga recuperato dagli Enti competenti, con elevazione di sanzioni per la mancata contribuzione, sostanzialmente quantificabili come omissione contributiva.

Essi possono riguardare sia una condizione oggettiva dell’azienda (il più frequente: condizioni di “non durcabilità” non rilevate al momento della fruizione del beneficio, magari incognite al consulente e talvolta anche al datore di lavoro) che un aspetto soggettivo del lavoratore (ad esempio, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti non rilevato o dichiarato, in sede di assunzione, magari perché svolto all’estero).

Vi sono, talvolta, casi estremi di non spettanza: pensiamo ad esempio a un rapporto a termine (poi trasformato in indeterminato, e quindi con pieno diritto all’esonero) che in sede di contenzioso, anche ispettivo, viene riqualificato come tempo indeterminato (magari per superamento dei limiti oppure – caso banale ma non infrequente soprattutto in aziende di piccolo calibro e costituite da poco – per la mancanza della valutazione dei rischi).

Vogliamo invece concentrarci qui su quei possibili casi che, pur formalmente ineccepibili, appaiono – per dirla con le parole del Ministero del Lavoro, che nella lettera circolare n.9960/15, si è occupato della questione – “volti alla precostituzione artificiosa delle condizioni per poter godere del beneficio in questione”.

Si tratta, in buona sostanza, di andare a sorprendere, nelle fattispecie contrattualizzate e nei casi attivati, quella causa illecita che a livello generale viene individuata dall’art.1344 cod.civ., a mente del quale si reputa altresì illecita la causa di un contratto “quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”.

Come opportunamente analizzato da alcuni commentatori (ad esempio G. Carosielli, L’uso fraudolento dell’esonero contributivo nei chiarimenti ministeriali, in Boll. Adapt, 25 giugno 2015), attraverso la messa in atto di alcuni sistemi o costruzioni contrattuali, si tende a godere (elusivamente) dell’esonero contributivo attraverso una condotta formalmente corretta (e quindi non in contrasto apparente con la norma), ma completamente avulsa, se non contraria, alle finalità della legge che, nel caso dell’esonero della Stabilità 2015, è quello di creare occupazione stabile attraverso la creazione di nuovi contratti (incrementando l’occupazione o, quantomeno, il numero di rapporti di lavoro a tempo indeterminato).

Ora, resta chiaro che se nuovi contratti stabili non sono stati creati, ma si sono soltanto ideate delle trasformazioni contrattuali che hanno teso unicamente ad aggirare i limiti antielusivi posti dalla legge (come esaminati nel paragrafo precedente), si è posta in essere una condotta teoricamente rientrante nelle ipotesi di cui all’art.1344 predetto.

In tal senso il Ministero (nella circolare citata) rileva la necessità e annuncia l’attivazione di “specifiche azioni ispettive” per contrastare tali fenomeni, anche ideando “specifici monitoraggi” e “mirate iniziative di vigilanza”.

Se resta del tutto condivisibile l’azione ministeriale, analizzeremo in sede conclusiva le difficoltà che, a nostro avviso, si presentano nella concreta rilevazione del concetto di frode.

 

Analisi di possibili fattispecie elusive fraudolente

Senza nessuna pretesa di esaustività, elenchiamo diverse ipotesi, formalmente in linea con i principi esposti dalla legge, nei quali si potrebbe celare una causa illecita a mente del codice civile (magari con qualche estensione all’art.1345).

Per facilitare la comprensione e comparazione, nonché per esigenze di sistematicità, divideremo le fattispecie in due grandi sottogruppi :

le elusioni riferibili al dipendente o alle caratteristiche del rapporto con esso instaurato;

le elusioni riferibili alla consistenza e struttura dell’azienda o datore di lavoro.

Cominciamo dal primo sottogruppo:

1a.l’insussistenza della prestazione di lavoro: il rapporto di lavoro non esiste ed è solo finto ai fini di procurare (indebiti) vantaggi di natura contributiva (assicurativa o previdenziale, o entrambe) al soggetto assicurato, magari un parente o un conoscente. L’intreccio dei possibili interessi sottesi a quest’ipotesi è molteplice e può arrivare ad interessare anche problematiche di natura fiscale (l’indebita deduzione di costi), di sicurezza (il mantenimento del permesso di soggiorno a stranieri privi di occupazione o la copertura di attività illecite), di percezione di prestazioni (es. maternità o malattia), addirittura facendosi pagare per il “servizio” reso;

1b.l’intreccio della (finta) prestazione di lavoro, sottocasistica di altre fattispecie qui considerate: il rapporto di lavoro non esiste oppure esiste ma non può essere costituito con il datore effettivo come subordinato (banalmente, datori di lavoro che reciprocamente si assumono l’un l’altro, oppure che assumono uno la moglie dell’altro), con diverse finalità (anche di elusione contributiva individuale);

1c.rapporto esistente ma non subordinato: sono i casi di prestazione di un socio, di un familiare o di un lavoratore davvero autonomo, gestiti come subordinati senza che ricorrano le caratteristiche della subordinazione;

1d.rapporto già in essere, ma falsamente autonomo trasformato in subordinato (prima del 1° gennaio 2016): è difficile considerare illecito o fraudolento qualcosa che ha previsto lo stesso Legislatore (sic!) ma solo con una decorrenza temporale diversa (vedi art.54, D.Lgs. n.81/15; diciamo che, in tal caso, il datore di lavoro (ex committente) si assume il rischio di vedersi contestato il rapporto precedente già come subordinato a tempo indeterminato, perdendo così un requisito sostanziale del beneficio. D’altronde ciò pone anche una certa difficoltà all’accertatore, il quale dovrà contestare l’inautenticità di un rapporto già concluso (quindi, con minor possibilità di riscontri fattuali) e ora esercitato con caratteristiche che ben potrebbero essere differenti da quelle attuate in precedenza;

1e. – rapporto già in essere autenticamente autonomo ma trasformato in (fittizio) subordinato: l’esonero potrebbe per assurdo rendere più conveniente inquadrare come subordinato un rapporto autonomo (es. di collaborazione autenticamente coordinata e continuativa); resterebbe anche in tal caso estremamente difficile un’eventuale contestazione da parte di una vigilanza completamente “attrezzata” a … fare il percorso logico contrario;

1f.rapporto denunciato con mansioni o caratteristiche non corrispondenti a quelle reali: strumento volto, molto semplicemente, ad aggirare i limiti imposti dagli obblighi di precedenza, come in caso di licenziamento o di interventi di sospensione lavorativa.

Un’osservazione da parte di un operatore esperto potrebbe essere quella che quasi tutte le fattispecie suddette potrebbero identicamente presentarsi anche in assenza dell’esonero contributivo, per altri fattori ugualmente strumentali (e difatti alcune di tali casistiche, ed anche il relativo contenzioso, sono abbondantemente rilevabili nell’esperienza lavoristica, così come dibattute nella dottrina e nell’elaborazione giurisprudenziale). L’esonero contributivo della Stabilità 2015 rende, da un lato, più appetibili o vantaggiose tali situazioni, ma nasconde al tempo stesso, e come rovescio della medaglia, un’insidia in più, in quanto l’eventuale contestazione di una costruzione artificiosa o fittizia potrebbe oggi trovare come arma aggiuntiva l’evidenziazione dell’illegittima strumentale fruizione del beneficio (come prova ulteriore della causa illecita ex art.1344).

Per quanto riguarda invece le elusioni riguardanti la struttura aziendale, evidenziamo:

2a. – i cambi-appalto mascherati o i “trasferimenti di appalto”: trattasi, con varie declinazioni, della fattispecie che ha allertato il Ministero, ovvero personale già assunto a tempo indeterminato (magari un gran numero di lavoratori) che viene trasbordato, nell’ambito dell’esercizio del medesimo appalto e senza alcun cambio sostanziale nell’organizzazione dello stesso, da un soggetto a un altro, apparentemente senza nessun collegamento formale con il primo, ma in realtà sotto un’unica “cabina di regia” orchestrata fra gli appaltatori o direttamente dal committente. In tale passaggio, attraverso l’assunzione a termine o addirittura con lo strumento della somministrazione a termine o di altro rapporto non stabile, si crea un periodo di almeno sei mesi che libera, in capo al secondo soggetto, la condizione formale per la fruizione dell’esonero. È lecito supporre, in tal caso che, il passaggio de quo non abbia altra motivazione oltre quella di precostituire una condizione formale che non ha alcun riscontro sostanziale. Tali fenomeni, del resto, si erano già evidenziati con operazioni di identica fattura volte ad ottenere lo sgravio per i lavoratori in mobilità; dopo un’oscillazione di indirizzo, l’Inps (circ. n.109/03) aveva decisamente preso posizione (anche sulla scorta di diverse sentenze) negando il beneficio in tutti i casi in cui fosse applicabile, anche solo astrattamente e per analogia, l’art.2112 cod.civ., e comunque laddove l’unico cambiamento significativo fosse la sola modifica dell’identità dei due datori (per un’analisi della fattispecie si veda C. Boller, A. Asnaghi, Il trasferimento d’azienda: riflessi contributivi, in “Il giurista del lavoro” n.7/12). La preclusione sui cambi d’appalto era poi stata sancita, come visto in precedenza, dalla L. n.92/12, seppure in forma indiretta;

2b. – trasferimenti di azienda occulti: trattasi di quei casi in cui, similarmente alla considerazione precedente, si realizza un passaggio di personale fra due realtà operative distinte (stavolta senza nessun appalto, con attività in proprio, con assetti proprietari formalmente (o anche sostanzialmente) differenti, ma in realtà realizzando un vero e proprio trasferimento di impresa o di ramo di impresa ex art.2112, dissimulato da un’interruzione del rapporto di lavoro inframmezzato da un contratto a termine;

2c. – cambi di personale realizzato fra aziende “informalmente collegate”: anche in questo caso si tratta del passaggio di personale – sempre con i medesimi criteri ed espedienti predetti, realizzato fra imprese che sono collegate fra loro in forza di legami non riferibili all’art.2559 cod.civ. (consorziate, reti di imprese, in associazione di impresa o semplicemente collegate di fatto).

In tutti i casi predetti, la prestazione e la posizione di fatto del personale dipendente non varia e viene mantenuta identicamente, ma interrompendo strumentalmente la prestazione (che in realtà è continua e immutata), inframmezzandovi un rapporto a termine di durata anche di poco superiore a sei mesi, si creano le condizioni dell’esonero. In tali ipotesi, il lavoro di “maquillage” è duplice (e quindi più rintracciabile il meccanismo fraudolento), perché da un lato si finge che i due (o addirittura tre, se contiamo un eventuale interpositore) datori di lavoro siano estranei fra loro (quando di fatto non o sono), dall’altro si spezza artificiosamente una prestazione che invece è proseguita senza alcuna soluzione di continuità.

 

Sanzioni, profili di rilevanza penale e corresponsabilità del professionista

È indubbio, a parere di chi scrive, che in tutti i casi sopra esaminati (tranne nelle ipotesi 1a., 2a. e 3a., in cui più opportunamente il rapporto di lavoro viene disconosciuto) il recupero della contribuzione elusa, in virtù dell’esonero fruito indebitamente, non potrà in nessun caso configurare un’omissione contributiva, bensì una vera e propria evasione, in virtù del dolo specifico rappresentato dalla costruzione frodatoria posta in atto.

Non solo, infatti, il mancato pagamento non è ricavabile dalle denunce e scritture obbligatorie effettuate dal debitore (che anzi sono state sapientemente artefatte), ma la condotta rientra in quelle ipotesi connotate da “pericolosità sociale” (secondo l’espressione della nota sentenza Cass. n.553/03), meritevoli pertanto della misura sanzionatoria ben più elevata.

Ci si può domandare, inoltre, se in alcuni dei casi suddetti, quelli ove il profilo sia marcatamente e scientemente elusivo, non possano trovare applicazione anche norme di natura penale (ancorché scarsamente utilizzate finora dagli Enti di vigilanza, anche per i conseguenti aspetti procedurali) per quanto previsto dall’art.640 c.p., laddove l’artificio o il raggiro a procurarsi “ingiusto profitto” sia rivolto a danno dello Stato o di altro Ente pubblico. Non è del tutto astratto, in ogni caso, considerare che a fronte di particolari congegni possa emergere in pieno l’attuazione di un disegno doloso particolarmente sapiente e congegnato al puro fine elusivo, tale da integrare quel cosciente e volontario artificio ricadente sotto il presidio della norma penale.

In tal caso, bisogna attentamente valutare anche la posizione del professionista, a cui – secondo gli orientamenti più recenti della giurisprudenza, espressasi in merito per lo più si ambiti di rilevanza fiscale e/o societaria – potrebbe essere attribuito un concorso in colpa laddove si possa provare che abbia contribuito, con i propri consigli specifici e magari anche con la realizzazione concreta di determinati atti, alla macchinazione elusiva.

Un monito, dunque, ad astenersi da determinate pratiche, non solo per l’impresa ma anche per il professionista, che tra l’altro potrebbe rischiare ripercussioni pure sotto il profilo della violazione deontologica. In queste situazioni, talvolta, può essere utile anche una corretta “presa di distanza” del professionista da situazioni orchestrate dai clienti che appaiono poco chiare e che possono far presumere volontà elusive.

 

Criticità nel concetto di frode ex art.1344 cod.civ.

Alcune conclusioni si impongono, peraltro, a cominciare dalla considerazione che il mondo delle imprese e dei professionisti non è un mondo ispirato per natura a principi di natura elusiva.

Esistono le evasioni, esistono gli escamotage, ma i primi ad invocare la repressione degli stessi sono tutti i moltissimi operatori corretti che vedono in questi fenomeni dei meccanismi pesantemente distorsivi della concorrenza. Ciò a significare che, in prima battuta, compito della vigilanza è quello di essere attenta e pronta al contrasto dei fenomeni elusivi, con una grande attenzione alle violazioni di natura sostanziale, senza un generico e pregiudiziale pensare male o pensare contro e senza (per parafrasare il detto evangelico) ricercare la scheggia rinunciando a perseguire le “travi”.

Ciò premesso, sia concesso di notare che, sia pure nel fare un passo avanti con l’enucleazione del concetto di frode, la vigilanza si trova obiettivamente ad avere le armi abbastanza spuntate. Ciò non deve essere letto in contraddizione con tutte le osservazioni che abbiamo finora offerto in questo contributo: se da un lato, infatti, può risultare abbastanza intuitivo individuare meccanismi di natura frodatoria, ben diverso discorso è darne quella prova concreta che permette, anche solo sul piano amministrativo, di sanzionare efficacemente i comportamenti scorretti.

Se, ad esempio, ci riferiamo ad esempi recenti, ricordati anche dai contributi in precedenza citati, quali i casi di somministrazione fraudolenta previsti dall’art.28, D.Lgs. n.276/03 (articolo ora abrogato dal D.Lgs. n.81/15), possiamo constatare che la fattispecie, per quanto espressamente citata in una sorta di direttiva-quadro sugli appalti – circolare n.5/11 del Ministero del Lavoro – è stata scarsamente presa in considerazione, tanto che la sua abrogazione è stata laconicamente giustificata come casistica “dai contenuti prescrittivi incerti e sostanzialmente sconosciuta nella pratica” (Relazione introduttiva al Senato dello schema di decreto, poi D.Lgs. n.81/15, pag.4). Del resto, come è stato acutamente osservato (si veda F. Natalini, Appalto: rilievi critici e punti controversi, in “La circolare di lavoro e previdenza”, n.20/11), un’interpretazione particolarmente estensiva della norma poteva portare, al contrario, a conclusioni anche abnormi.

Ritornando al nostro argomento, o molta parte dei comportamenti “fraudolentemente elusivi” sopra descritti potrebbero trovare astratte giustificazioni che ne renderebbero difficile una contestazione efficace, oppure, al contrario, il sospetto di elusione potrebbe estendersi a scelte considerate del tutto normali. Poniamo il caso dell’assunzione a termine, avvenuta dopo la Legge di Stabilità, effettuata (legittimamente e come nuova assunzione sotto ogni punto di vista) in tal modo, al fine di poter far trascorrere i sei mesi necessari e poter poi trasformare il rapporto a tempo indeterminato con fruizione dell’esonero.

Siamo nel campo della scelta legittima e vantaggiosa o siamo nel campo della scelta fraudolenta? (A parere di chi scrive – salvo casi limite – l’ipotesi è ovviamente la prima).

In altre parole, diventa difficile in parecchi casi individuare e documentare correttamente quel consilium fraudis che invece è indispensabile per contestare la fattispecie: ad avviso di chi scrive, pertanto, l’art.1344 interviene come norma limite o di confine, inidonea ad intercettare comportamenti che, invece, dovrebbero trovare la loro prima individuazione sul piano normativo.

In tal senso, appare (a posteriori) ammirevole la sistematicità della L. n.92/12, art.4, co.12, ora abrogato e sostituito dall’art.31, D.Lgs. n.150/15, nel cercare di declinare le casistiche di elusione, soprattutto se confrontata con il dettato normativo (al contrario piuttosto semplicistico) della Legge di Stabilità 2015, che non ha posto altrettanta cura nell’individuare più concreti e adeguati limiti di utilizzo dell’esenzione, lasciando così il passo a fenomeni che poi la vigilanza cerca di contrastare con le armi residuali, legittimamente e tenacemente, ma non sempre con efficacia.

Evidentemente la lungimiranza e la sistematicità sono doni che di cui il nostro Legislatore, con preoccupante frequenza, difetta.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.