23 Ottobre 2025

Tempo di viaggio come orario di lavoro: nuova pronuncia CGUE

di Luca Vannoni Scarica in PDF

La Corte di giustizia dell’Unione Europea torna ad affrontare, con la pronuncia del 9 ottobre 2025, causa C-110/24, la materia dell’orario di lavoro e, in particolare, la riconducibilità a tale istituto, alla luce della Direttiva 2003/88/CE, del tempo di spostamento dei lavoratori all’inizio e alla fine della giornata lavorativa nell’orario di lavoro, in presenza di determinate condizioni organizzative imposte dal datore di lavoro.

Il caso trae origine da un rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana, nell’ambito di una controversia tra un’organizzazione sindacale e una società a capitale prevalentemente pubblico incaricata di interventi di miglioramento ambientale in aree naturali della Comunità Autonoma di Valencia. I lavoratori coinvolti non dispongono di un luogo fisso di lavoro: ogni giorno raggiungono un punto di partenza prestabilito, da cui partono con un veicolo aziendale verso le micro-riserve naturali dove svolgono la loro attività. La controversia nasce dal fatto che i contratti individuali di lavoro escludevano espressamente che il tempo di spostamento fosse considerato orario di lavoro, ma nella prassi aziendale veniva computato solo quello di andata, e non quello di ritorno dalla sede operativa alla base. Il sindacato ricorrente ha sostenuto che anche il tempo di rientro dovesse essere qualificato come orario di lavoro, ai sensi dell’art. 2, Direttiva 2003/88. La Corte è stata, quindi, chiamata a chiarire se il tempo impiegato per gli spostamenti organizzati dal datore di lavoro, con un mezzo aziendale, da un luogo fisso stabilito dall’impresa alla sede operativa e viceversa, possa essere ricompreso nella nozione di “orario di lavoro” ai fini della disciplina europea.

La definizione fornita dalla Direttiva è nota: per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. Non sono previste categorie intermedie tra orario di lavoro e periodo di riposo, che sono pertanto concetti alternativi.

La Corte, richiamando un proprio precedente (causa C-266/14 Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras), ha ricordato che i tempi di spostamento devono essere esaminati sulla base di 3 elementi costitutivi:

  1. l’esercizio dell’attività o delle funzioni;
  2. la disponibilità per il datore di lavoro;
  3. la presenza effettiva al lavoro.

Sotto il primo profilo, la Corte ha osservato che i lavoratori interessati non dispongono di un luogo di lavoro fisso e abituale: l’esecuzione della prestazione lavorativa presuppone necessariamente uno spostamento verso le micro-riserve naturali. Tale spostamento è strettamente funzionale allo svolgimento delle attività previste dal contratto di lavoro e rappresenta uno strumento indispensabile per l’esecuzione della prestazione. Inoltre, è l’impresa a determinare l’orario, il luogo di partenza e quello di arrivo, nonché il mezzo di trasporto da utilizzare. In queste condizioni, la Corte ha ritenuto che i lavoratori debbano essere considerati nell’esercizio delle loro funzioni già durante il tragitto, in quanto esso è parte integrante e necessario dell’attività lavorativa.

Per quanto concerne la disponibilità per il datore di lavoro, la Corte ha sottolineato che i lavoratori, durante il periodo di spostamento, non dispongono liberamente del proprio tempo e non possono dedicarlo a interessi personali: devono essere presenti in un luogo determinato, a un’ora prestabilita, viaggiare con un veicolo aziendale condotto da un collega e seguire le istruzioni del datore di lavoro. La circostanza che il tempo di spostamento sia incomprimibile e organizzato unilateralmente dall’impresa evidenzia che il lavoratore rimane sotto la sfera di direzione e controllo datoriale, risultando pertanto a disposizione dell’impresa per l’intera durata del tragitto. Anche questo secondo elemento risulta, pertanto, soddisfatto.

Quanto al terzo profilo, relativo alla presenza al lavoro, la Corte ha ricordato che per i lavoratori itineranti, privi di un luogo di lavoro fisso, l’attività lavorativa non può essere limitata al tempo trascorso nei siti di intervento, ma comprende necessariamente anche il tempo impiegato negli spostamenti obbligatori imposti dall’organizzazione del datore. Gli spostamenti fanno parte della prestazione lavorativa in senso ampio, trattandosi di un’attività connessa e necessaria allo svolgimento delle mansioni. Anche questo elemento, dunque, concorre a qualificare tali periodi come orario di lavoro.

La Corte giunge, così, a formulare un principio di diritto molto chiaro: il tempo dedicato ai tragitti di andata e ritorno che i lavoratori sono tenuti a effettuare, insieme, a un’ora definita dal loro datore di lavoro e con un veicolo appartenente a quest’ultimo, per recarsi da un luogo preciso determinato dal datore di lavoro al luogo in cui è fornita la prestazione caratteristica prevista dal contratto di lavoro concluso tra tali lavoratori e detto datore di lavoro, dev’essere considerato «orario di lavoro», ai sensi dell’art. 2, punto 1, Direttiva 2003/88/CE.

È opportuno sottolineare che la Direttiva non disciplina direttamente la retribuzione dei tempi qualificati come orario di lavoro, ma la qualificazione giuridica di tali periodi ha conseguenze dirette e significative sull’organizzazione aziendale e sui costi del lavoro.

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