30 Marzo 2022

Dirigenti e quadri part-time: aspetti contrattuali e gestionali

di Francesco Capaccio

Il rapporto di lavoro subordinato con dirigenti e quadri direttivi si caratterizza per l’elevata autonomia dei prestatori di lavoro. Un’autonomia che, in armonia con il decreto delegato 66/2003, esclude le suddette categorie dalla maggior parte delle disposizioni in materia di orario di lavoro. Sebbene il ruolo di responsabilità e di rilevanza strategica sulla vita aziendale potrebbe non attagliarsi a un circoscritto ridotto perimetro orario, giurisprudenza e prassi sono orientate a ritenere percorribile l’instaurazione di un rapporto a tempo parziale con le suddette categorie di lavoratori, con particolare riferimento al personale dirigente. Il presente lavoro intende analizzare gli aspetti operativi e contributivi.

 

La classificazione del personale dipendente

Secondo l’impostazione codicistica, ex articolo 2095, cod. civ., il personale dipendente si distingue in categorie: dirigenti, quadri[1], impiegati e operai.

La categoria è l’unica distinzione declinata direttamente dal Legislatore, donde la (attuale) denominazione di “categorie legali”, rinvenibile quest’ultima all’articolo 2103[2], cod. civ., in materia di

ius variandi, dopo le modifiche apportate dall’articolo 3, D.Lgs. 81/2015 (c.d. Codice dei contratti).

Eppure, per lungo tempo, la distinzione fra impiegati e operai aveva avuto più una funzione “didattica-tralatizia” che “fattuale”, basata, cioè, sulla stessa definizione di prestatore di lavoro subordinato contenuta nell’articolo 2094, cod. civ., nel quale, come noto, si richiama, quale obbligo fondamentale del lavoratore, l’attività intellettuale (impiegato) o manuale (operaio).

Classificazione, quest’ultima, superata dal sistema di classificazione del personale, di matrice pattizia (contrattazione collettiva), che ha dimostrato preferire il c.d. inquadramento unico, quindi senza distinzioni di sorta, andando, ex adverso, a individuare quel complesso di skills ed esperienze (c.d. qualifica) e, in alcuni casi, la specifica attività lavorativa (c.d. mansione) ai fini del corretto inquadramento in livelli a cui corrisponde la relativa retribuzione (livelli retributivi).

Quindi, salvo eccezioni (settori tipicamente industriali, ad esempio, edilizia, metalmeccanico), la classificazione fra impiegati e operai, in armonia con il mutato contesto storico-produttivo, ha avuto uno scarso rilievo, stante, appunto, il sistema di inquadramento unico, anche con riferimento ai livelli retributivi.

Ben più rilevante, anche per i risvolti quantitativi e retributivi della prestazione lavorativa, è la classificazione di quadri e dirigenti.

Quest’ultima categoria, più risalente, pur non trovando, da un punto di vista lavoristico, una specifica definizione legale[3], è, per pressoché conforme definizione dei vari Ccnl, ravvisabile tutte le volte in cui il prestatore di lavoro subordinato – dirigente, appunto – ricopra nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplichi le sue funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa.

La definizione contrattuale è in linea con la giurisprudenza nomofilattica, che, storicamente, ha definito il dirigente come l’alter ego[4] dell’imprenditore, specificando che “salvo che la contrattazione collettiva non disponga diversamente, ed il giudice del merito lo ha escluso, la qualifica di dirigente spetta soltanto ex art. 2095 c.c. al prestatore di lavoro che, come “alter ego” dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello[5].

Ovvero, come meglio successivamente declinato dalla stessa Corte di Cassazione[6], “per il riconoscimento della qualifica di dirigente rispetto a un settore dell’azienda, non necessariamente autonomo, è indispensabile, in carenza di specifica norma contrattuale collettiva, l’esplicazione di autonomia e discrezionalità nelle scelte decisionali tale da influire sugli obiettivi complessivi dell’imprenditore”.

Quanto, invece, alla categoria dei quadri, la legge istitutiva, L 190/1985, all’articolo 1, ne fissa la definizione precisando che “la categoria dei quadri è costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgano funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa. I requisiti di appartenenza alla categoria dei quadri sono stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa”.

Gli stessi, dunque, si collocano fra il più alto livello impiegatizio e quello dirigenziale, donde la loro denominazione di “quadri-intermedi”.

La stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12860/1998, nel superare la concezione del dirigente come alter ego dell’imprenditore, ha tracciato meglio il perimetro (recte, i perimetri) della figura dirigenziale e individuato, al contempo, le differenze con quella di quadro.

È stato, così, affermato che “la figura del dirigente d`azienda come alter ego dell’imprenditore non risponde agli attuali assetti organizzativi delle imprese, specie se di rilevanti dimensioni, caratterizzate da una pluralità di dirigenti, di diverso livello, nell’ambito di un diffuso decentramento dei poteri decisionali; per l’individuazione degli elementi qualificanti la figura del dirigente, pertanto, non è più possibile fare riferimento soltanto all’aspetto della supremazia gerarchica e dei poteri direttivi ad essa connessi, essendo necessario tenere presente anche la qualità, l’autonomia e la discrezionalità delle mansioni affidate: i due suddetti aspetti, che certo non si escludono a vicenda, sono tuttavia anche separatamente sufficienti a qualificare l’attività dirigenziale, data la possibilità che un`elevata specializzazione o una sperimentata esperienza abbiano un`incidenza rilevante e immediata sugli obiettivi dell’impresa (siano essi quelli di carattere generale o quelli propri di un settore o ramo autonomo nel quale il dirigente si trovi ad operare), essendo proprio l’immediata incidenza sugli obiettivi complessivi dell’imprenditore l’elemento che, caratterizzando l’attività del dirigente, appare utile a marcare la linea di confine tra questa figura e quella di quadro”.

In nuce, è possibile affermare che sia dirigenti che quadri concorrano alla realizzazione degli obiettivi aziendali, i primi potendoli addirittura “influenzare”, i secondi, invece, con funzioni di “sviluppo” oltre che, al pari dei dirigenti, di “attuazione”.

 

La definizione dell’orario di lavoro nel rapporto dirigenziale e del personale con funzioni direttive: le deroghe alla disciplina generale del D.Lgs. 66/2003

Dirigenti e quadri, così come declinati nel paragrafo precedente, si caratterizzano per avere un elevato grado di responsabilità e autonomia, donde la loro esclusione, per espressa previsione normativa, dai normali limiti, cui sono sottoposti tutti gli altri lavoratori dipendenti, in materia di orario di lavoro.

Infatti, l’articolo 17, comma 5, lettera a), D.Lgs. 66/2003, prevede espressamente che “nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13 non si applicano ai lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta:
a) di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo; …

Pertanto, al personale in questione non si applicano le seguenti previsioni di cui al D.Lgs. 66/2003:

  • l’orario normale di lavoro (articolo 3, D.Lgs. 66/2003): fissato in 40 ore settimanali;
  • durata massima della prestazione lavorativa settimanale (articolo 4, D.Lgs. 66/2003): 48 ore medie comprensive del lavoro straordinario;
  • lavoro straordinario (articolo 5, D.Lgs. 66/2003): con i relativi limiti e previsioni contrattuali o, in difetto, pari a 250 ore annuali;
  • riposo giornaliero (articolo 7, D.Lgs. 66/2003): consistente nella necessità di un recupero per 11 ore consecutive ogni 24 ore;
  • pause (articolo 8, D.Lgs. 66/2003): ogni 6 ore consecutive di lavoro;
  • organizzazione del lavoro notturno e durata dello stesso (articoli 12 e 13, D.Lgs. 66/2003): obblighi procedurali e limiti di contingentamento del lavoro notturno.

Ai soli fini di garantire, come previsto dall’incipit dell’articolo 17, comma 5, D.Lgs. 66/2003, la sicurezza, per il personale in parola è necessario rispettare:

  • riposo settimanale (articolo 9, D.Lgs. 66/2003): ogni 7 giorni ha diritto a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive;
  • ferie annuali (articolo 10, D.Lgs. 66/2003): non inferiori a 4 settimane in un periodo annuale;
  • limitazioni al lavoro notturno: si debbono rispettare, anche per il personale in questione, i divieti previsti – per la generalità dei dipendenti – per l’adibizione al lavoro notturno.

La disposizione in commento, peraltro in linea con la previgente disciplina contenuta nell’articolo 1, comma 2, R.D.L. 692/1923, mette, ancora una volta, in rilievo la funzione “determinante” (per i dirigenti) e/o “rilevante” (per i quadri) nella realizzazione del core business aziendale, realizzazione che non può essere influenzata dai vincoli di orario sopra analizzati, come, viceversa, avviene per gli altri lavoratori (impiegati e operai).

Pertanto, è possibile concludere che, in linea di massima[7], per i dirigenti e i quadri la parte quantitativa della prestazione lavorativa assume un rilievo decisamente secondario rispetto a quella qualitativa.

 

Personale dirigente: ricorso al lavoro a tempo parziale

La posizione della giurisprudenza

La rilevanza qualitativa della prestazione lavorativa rispetto a quella quantitativa assume rilievo anche con riferimento alla possibilità (invero non molto ricorrente) di assunzioni a tempo parziale con dirigenti e quadri.

Come noto, la disciplina sul contratto part-time, attualmente contenuta negli articoli 4-12, D.Lgs. 81/2015, prevede espressamente, all’articolo 5, che

1. Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova.

2. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno[8].

3. Quando l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione di cui al comma 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite”.

È evidente che la declinazione di tempi precisi della prestazione lavorativa e l’articolazione puntuale dell’orario, con riferimento al giorno, settimana, mese, mal si conciliano con le figure in questione e, invero, in maniera più pregnante con quella di dirigente, caratterizzato dall’avere un’ampia autonomia gestionale, anche (e soprattutto) con riferimento all’orario di lavoro, sia inteso come quantum che come articolazione.

Ciò aveva indotto, prima facie, a ritenere non possibile l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale con un dirigente e, comunque, con il personale svolgente funzioni direttive. A tale posizione, tuttavia, si era prontamente argomentato a confutazione sull’inesistenza di un divieto (di fonte legale) all’instaurazione di rapporti part-time con il personale direttivo.

La questione, affrontata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22003/2008, ha trovato una soluzione positiva. Infatti, i giudici nomofilattici, dopo aver ripercorso la giurisprudenza di legittimità in materia di part-time, hanno ricordato che la corretta utilizzazione dello strumento negoziale del contratto di lavoro a tempo parziale impone la rigorosa predeterminazione della collocazione temporale dell’orario di lavoro, in modo da escludere il potere del datore di lavoro di disporre unilateralmente variazioni dei tempi della prestazione (c.d. clausole a comando). Infatti, soltanto in tal modo è possibile evitare che il dipendente debba sottostare a una disponibilità tale da eliminare i vantaggi derivanti dalla riduzione dell’orario di lavoro.

La stessa Corte, con la sentenza de qua, nella parte motivazionale, precisa che, in linea generale, un contratto a tempo parziale che indichi soltanto il limite quantitativo della prestazione e rimetta alla volontà del lavoratore la concreta determinazione degli orari, ancorché costituisca ipotesi anomala per gli ordinari rapporti di lavoro subordinato e difficilmente riscontrabile nella pratica, esclude certamente la presenza di clausole c.d. a comando e deve considerarsi perfettamente valida.

Detta anomalia, tuttavia, non si riscontra con la figura del dirigente che, per sua natura, svolge la propria prestazione con la più ampia autonomia gestionale, con riferimento proprio ai tempi della prestazione.

Pertanto, la Corte di Cassazione, con la richiamata sentenza n. 22003/2008, ha ritenuto ammissibile il ricorso al rapporto part-time con il dirigente (e, a fortiori, con i quadri), alla stregua del presente principio di diritto: “il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, stipulato per iscritto e comunicato al competente organo pubblico per lo svolgimento di mansioni di livello dirigenziale, è rispettoso del disposto del DL 726/84 convertito con modificazioni nella L. 863/84 [da leggere, oggi, D.Lgs. 81/2015, NdA] ove indichi soltanto il limite quantitativo della prestazione lavorativa, purché rimetta all’autonomia del dipendente la distribuzione dell’orario”.

 

Personale dirigente: ricorso al lavoro a tempo parziale

La prassi Inps

La questione in argomento, ancor prima della posizione giurisprudenziale espressa nel paragrafo precedente, è stata oggetto di indicazioni da parte dell’Inps. Infatti, con la circolare n. 65/1991, l’Istituto ha avuto modo di affrontare la questione.

Con il documento di prassi in commento, in linea con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, l’Inps precisava che, in punto di diritto, non sussistono preclusioni all’instaurazione di rapporti part-time con i dirigenti, sebbene le mansioni di questi ultimi mal si concilino, in generale, con la predeterminazione dei tempi di lavoro limitati propri del part time.

Infatti, come noto, la configurabilità del part-time è subordinata alla presenza di tutti gli elementi propri di tale schema negoziale e, segnatamente, la forma scritta (ad probationem) contenente l’indicazione della puntuale distribuzione dell’orario di lavoro, che deve essere apprezzabilmente ridotto rispetto a quello previsto in via ordinaria dai Ccnl.

Nel caso del personale dirigente, anche in considerazione delle previsioni della contrattazione collettiva, è difficile definire un orario (nella sua accezione quantitativa e, per l’effetto, distributiva). Pertanto, il criterio individuato dall’Inps, ai fini della ricorrenza di un rapporto a tempo parziale, è quello di considerare quello vigente (c.d. orario normale) nell’unità operativa cui il dirigente è addetto.

Perciò, nel caso in cui l’orario ordinario per la generalità dei dipendenti sia di 40 ore, un dirigente potrà considerarsi a tempo parziale, se, nel contratto individuale, sia chiaro che l’impegno (in termini quantitativi) è ridotto rispetto alle 40 ore.

È chiaro che, in funzione dell’autonomia del dirigente, questi dovrà essere libero di determinare l’articolazione (fasce orarie della giornata e/o del mese) in cui svolgere il proprio (ridotto, rispetto alla normalità) impegno lavorativo.

Sul punto, il predetto documento di prassi recita testualmente “la previsione di un orario di lavoro nella disciplina collettiva riguardante gli appartenenti alla categoria costituisce, quindi, condizione imprescindibile per la riconoscibilità del part time, ancorché essa – così come è dato rilevare in alcuni CCNL – trovi espressione nella formula secondo la quale la prestazione lavorativa del dirigente, pur non essendo quantificabile, “tende a correlarsi in linea di massima, pur con ampia discrezionalità all’orario normale dell’unità operativa cui il dirigente è addetto”. In presenza di tale norma contrattuale, l’orario ordinario di lavoro stabilito nell’unità operativa cui il dirigente è addetto verrà, quindi, assunto sia come elemento di riferimento per la ravvisabilità del part time, sia per l’applicazione degli altri meccanismi assicurativi e contributivi propri di tale figura contrattuale (ad esempio, per la determinazione del minimale orario di contribuzione ai sensi dell’art. 5, comma 4, del DL 09.10.89 n. 338, convertito nella legge 07.12.89 n. 389”.

La posizione espressa con la richiamata circolare è stata, altresì, confermata dall’Inps, con la successiva circolare n. 123/2000, con la quale è stato riaffermato che il contratto a tempo parziale è da ritenersi compatibile anche con la qualifica di dirigente.

Quanto ai codici da utilizzare per la trasmissione del flusso UniEmens, l’Inps, con la circolare n. 83/2003, ha precisato che, a decorrere da gennaio 2003, data di confluenza dell’Inpdap nell’Inps, per l’assolvimento dell’ordinaria contribuzione dei dirigenti industriali i datori di lavoro debbono operare come segue:

  • calcolano i contributi Ivs unitamente alle altre “contribuzioni minori”;
  • riportano il relativo importo in uno dei righi in bianco dei quadri “B-C” del modello DM10/2, facendolo precedere da uno dei seguenti codici qualifica:
Codice qualifica Dirigenti interessati
3 Dirigenti a tempo pieno già iscritti all’Inpdai al 31.12.2002
300P Dirigenti part-time già iscritti all’Inpdai al 31.12.2002
9 Dirigenti a tempo pieno assunti dall’1.1.2003 iscritti al Fpld
900P Dirigenti part-time assunti dall’1.1.2003 iscritti al Fpld

 

L’orario di lavoro dei dirigenti nella contrattazione collettiva

La posizione espressa dall’Inps con le circolari n. 65/1991 e n. 123/2000 trova una sua attualità nelle vigenti disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro dei dirigenti.

E, più precisamente:

  • Ccnl Dirigenti commercio del 27 maggio 2004 – articolo 12: “In considerazione della posizione, delle funzioni e delle responsabilità particolari del dirigente nell’ambito dell’organizzazione aziendale, la sua prestazione lavorativa non è quantificabile, tuttavia essa tende a correlarsi, in linea di massima, pur con ampia discrezionalità, all’orario dell’unità operativa cui il dirigente è addetto, specie per quanto riguarda il riposo settimanale nel quadro delle leggi vigenti”;
  • Ccnl Autotrasporto merci e logistica del 3 gennaio 2014 – articolo 13: “In considerazione della posizione, delle funzioni e delle responsabilità particolari del dirigente nell’ambito dell’organizzazione aziendale, la sua prestazione lavorativa non è quantificabile; tuttavia, essa tende a correlarsi in linea di massima, pur con ampia discrezionalità, all’orario dell’unità operativa cui il dirigente è addetto specie per quanto riguarda il riposo settimanale e le festività settimanali e infrasettimanali, nel quadro delle leggi vigenti”.

Un’eccezione è rappresentata dai dirigenti degli ospedali classificati di cui al Ccnl 5 febbraio 2001 – articolo 8, in cui è stabilito che “i dirigenti medici assicurano l’orario di servizio disposto dalla Direzione sanitaria, d’intesa con i responsabili dei rispettivi settori; l’orario settimanale, di 38 ore per i dirigenti medici a tempo pieno e di 28,30 ore per i dirigenti medici a tempo definito”.

Pertanto, per i lavoratori dirigenti si rende necessario indicare nel contratto individuale il minor impegno quantitativo rispetto all’unità operativa di riferimento, lasciando alla piena autonomia dello stesso la libertà di autodeterminare l’articolazione dell’orario di lavoro.

Resta chiaramente inteso che eventuali plus orari eventualmente svolti resteranno assorbiti al pari delle prestazioni di lavoro straordinario[9].

 

La categoria dei quadri

Le suesposte considerazioni con riferimento alla categoria dei dirigenti (id: riferimento all’orario dell’unità operativa cui il dirigente è addetto) non trovano applicazione per i quadri, atteso che le condizioni economico-normative regolanti il rapporto sono, di norma, contenute nei contratti collettivi previsti per la generalità degli altri lavoratori (impiegati e operai)[10].

In sostanza, salvo rare eccezioni, il lavoro con i quadri è disciplinato dagli stessi contratti collettivi operanti per gli altri lavoratori, esclusi, come si è avuto modo di vedere, i dirigenti. I quadri, in linea di massima e salve pattuizioni di livello aziendale, non hanno un proprio contratto collettivo.

Donde, in generale, per tale categoria l’orario di lavoro è quello applicabile per la generalità dei lavoratori e fissato normativamente dall’articolo 3, D.Lgs. 66/2003, in 40 ore settimanali ovvero il differente minore orario di cui alla contrattazione collettiva.

Pertanto, l’orario dovrà essere, al pari dei dirigenti, convenuto certamente in sede di contratto individuale, tenendo presente il limite legale/contrattuale.

 

Conclusioni

Alla luce delle suesposte considerazioni, è senza dubbio possibile procedere all’instaurazione di un rapporto di lavoro part-time con dirigenti e, in generale, con i quadri.

Quanto alla prima categoria, in particolare, in linea con gli orientamenti giurisprudenziali e di prassi esaminati, sarà sufficiente indicare, nel corpo del contratto individuale, soltanto il limite quantitativo della prestazione lavorativa e rimettere all’autonomia del dipendente la distribuzione dello stesso.

Per i quadri, stante quanto specificato e in ragione della ridotta autonomia rispetto ai dirigenti, parrebbe più prudente rispettare le previsioni di cui al richiamato articolo 5, comma 2, D.Lgs. 81/2015, mediante puntuale indicazione del quantum e dell’articolazione della prestazione.

Peraltro, si evidenzia, al riguardo, la prassi, seguita nelle aziende di medie-grandi dimensioni, ove tali categorie si rinvengono con maggiore frequenza, in cui certamente i dirigenti e, in taluni casi, anche i quadri, sono esentati dalla timbratura in uscita, mentre quella in entrata rileva ai soli fini dell’attestazione di presenza.

[1] Inserita con la L. 190/1985.
[2] L’aggettivazione “legali”, prima facie ridondante, ha evidentemente il fine di fissare il perimetro legittimo dello ius variandi, mediante individuazione dello stesso alle sole categorie di matrice legale e non anche a quelle (eventuali) della contrattazione collettiva.
[3] Salvo le specifiche discipline, fra le quali quella in materia di sicurezza, ex articolo 2, D.Lgs. 81/2008.
[4] Definizione in parte superata per quanto si dirà infra.
[5] Così Cassazione n. 27464/2006.
[6] Cassazione n. 10550/2010.
[7] È stato più volte affermato dalla Corte di Cassazione che, benché il personale con mansioni direttive sia escluso dalla disciplina legale limitativa dell’orario di lavoro, lo stesso ha comunque diritto al compenso per lavoro straordinario nel caso in cui la disciplina collettiva applicata delimiti anche per esso l’orario normale e tale orario venga in concreto superato ovvero qualora la durata della prestazione valichi il limite di ragionevolezza in rapporto alla necessaria tutela della salute e dell’integrità fisiopsichica garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori (ex plurimis, n. 12687/2016).
[8] La previsione è sostanzialmente analoga a quella di cui alla previgente disciplina contenuta nell’articolo 2 comma 2, D.Lgs. 61/2000, nonché quella storica di cui all’articolo 5, comma 2, D.L. 726/1984, convertito, con modificazioni, dalla L. 863/1984.
[9] Tenendo presente che l’esclusione dal compenso per lavoro straordinario del personale dirigenziale non ha valore assoluto, essendo soggetta a limiti di ragionevolezza verificabili dal giudice, purché il loro superamento sia stato dedotto e provato dal dirigente stesso (cfr. Cassazione n. 3607/2011).
[10] Talvolta inserite anche nei contratti dei dirigenti. Ad esempio, il Ccnl Dirigenti PMI del 31 gennaio 2014.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.

 

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