29 Luglio 2022

I giornalisti sono persone

di Assunta Corbo - giornalista, autrice e Founder Constructive Network

Nel suo libro “Public Opinion”, Walter Lippmann, giornalista e teorico dell’opinione pubblica, afferma: “l’unico sentimento che ognuno di noi può provare rispetto un evento che non ha vissuto in prima persona è quello generato dalla sua percezione di questo evento”. Buona parte di ciò che avviene nel mondo non rientra tra le nostre esperienze dirette: dipendiamo dai media e dalla loro narrazione. A loro il compito di fornirci i dettagli necessari a farci un’idea di quanto accaduto. 

Da che esiste il giornalismo si riflette sul concetto di obiettività: i giornalisti dovrebbero sopprimere il loro lato umano o quanto meno liberarlo da credenze e bias cognitivi per poterci offrire un’informazione obiettiva.  È davvero possibile?

La risposta arriva da una semplice considerazione: i professionisti dell’informazione sono persone. In quanto tali non sono esonerati dai processi di percezione e di interpretazione della realtà a cui siamo soggetti tutti noi. Questo aspetto sottintende che le storie raccontate vengono spesso modificate da un’opinione, dal linguaggio emotivo e dall’attenzione selettiva di chi le propone: elementi che colorano di sfumature differenti le notizie. 

Lo psicologo Kurt Lewin ha identificato quali sono i punti di passaggio fondamentali nel viaggio della notizia che vengono gestiti da persone con un ruolo differente. A ognuno di questi punti corrispondono delle scelte che diventano cruciali nel flusso delle informazioni destinate al pubblico. 

Le persone coinvolte in questo processo, dice Lewin, sono essenzialmente di 5 tipologie: 

  1. coloro che vedono quanto accade e che lo fanno in modo selettivo: alcune cose vengono notate, altre no;
  2. il giornalista che accoglie le prime informazioni e decide quali sono i fatti da approfondire, quali da enfatizzare e quali mettere da parte;
  3. chi in redazione riceve il pezzo e decide cosa tagliare, completare, modificare o lasciare così come è stato raccontato;
  4. il responsabile di redazione che decide lo spazio da dare a questa notizia: la prima pagina? Il servizio di punta del tg? 
  5. i giornalisti di altre testate nazionali o internazionali che scelgono o meno di riprendere la notizia, portandola quindi a un pubblico sempre più ampio.

Così le notizie arrivano a noi: filtrate da altri che hanno le proprie sensibilità e credenze. Credo non valga la pena lasciarsi guidare dal senso del giusto o sbagliato. È così, perché i giornalisti sono esseri umani. Saperlo, però, ci consente di renderci conto della grande importanza che ha l’allenamento del nostro pensiero critico per poterci informare in modo adeguato. Una volta che la notizia viene diffusa, il modo in cui viene proposta influenza inevitabilmente la nostra percezione e come ci sentiamo rispetto alla storia raccontata. L’idea è che i media non ci dicono solo cosa pensare, ma anche come pensare rispetto a quello che accade nel mondo. 

Partendo da questa consapevolezza è possibile avvicinarci alle notizie in modo più critico e attivo: 

  • non limitiamoci a leggere una o due fonti: cerchiamo altre voci, altre opinioni, altri dettagli. Più elementi abbiamo e più il puzzle si completa. Impossibile arrivare al suo completamento, ma la visione si allarga;
  • proviamo a cercare chi propone la stessa notizia con una lettura diametralmente opposta alla nostra. L’obiettivo non è cambiare idea – potrebbe accadere come no – ma è allargare ancora di più il punto di osservazione;
  • prendiamoci il tempo prima di diventare noi stessi parte della divulgazione della notizia: abbiamo elementi sufficienti? Quella frenesia da condivisione che ci prende sui social media talvolta fa dei grandi danni. 

Questo non è più il tempo dell’informazione passiva. Non possiamo più pensare che sia sufficiente accogliere quello che ci viene proposto. Il digitale ci offre la possibilità di approfondire e noi lo dobbiamo alla nostra intelligenza oltre che al nostro benessere.