27 Aprile 2021

Stati di euforia e alterazione giurisprudenziale: la curiosa parabola del rapporto dirigenziale ai tempi dell’emergenza pandemica

di Marco Frisoni

Basta!! Ci arrendiamo senza condizioni (salvo l’onore delle armi, ovviamente professionali)!! Innalziamo e sventoliamo bandiera bianca!! “No mas!!” come, pare, disse Roberto Duran (pugilatore panamense, noto anche come “Mano di pietra” per la forza dei propri colpi) nell’ottavo round della leggendaria sfida di pugilato con “Sugar” Ray Leonard del 25 novembre 1980, in quel di New Orleans, ponendo fine alla contesa e riconoscendo la vittoria dell’avversario nordamericano.

Insomma, di fronte ad alcuni accadimenti, anche il consulente del lavoro maggiormente smaliziato, avvezzo ad affrontare le situazioni più improbabili e imprevedibili, non può che limitarsi, sgomento, a osservare (in un silenzio rassegnato) il dipanamento di vicende che appaiono del tutto surreali e frutto di visioni quasi oniriche, prodotte dall’inconscio e non dalla (meschina) realtà.

In effetti, non è trascorso molto tempo dai commenti dedicati all’ordinanza del 26 febbraio 2021, per mezzo della quale il Tribunale di Roma aveva, non senza sorpresa, sancito l’illegittimità del licenziamento intimato verso un dirigente, avvenuto in pendenza delle norme emergenziali che sospendono/vietano il recesso per motivazioni oggettive, in virtù di un percorso logico e giuridico che, per quanto disputabile, verteva, per sommi capi, su taluni fondamenti che, non di meno, meritavano una riflessione ponderata ed attenta.

In particolare, il giudice capitolino, in detta occasione, aveva riflettuto sugli obiettivi, perseguiti dal Legislatore, in termini di incontrovertibile protezione del bene “lavoro” e quale tutela dalle conseguenze nefaste sui livelli occupazionali discendenti dall’emergenza pandemica in atto.

Di riflesso, in siffatto pronunciamento, anche i dirigenti risultavano beneficiari del divieto di licenziamento datoriale, qualora il recesso intimato manifestasse un radicamento, al di là del mero formalismo discendente dalle norme di riferimento, in una ragione di natura oggettiva/economica/organizzativa, con precipuo riguardo al contesto di crisi in corso.

Orbene, già di per sé, un verdetto di tal guisa assesta un poderoso fendente a quelle residue saldezze in materia di diritto del lavoro sulle quali i professionisti, soprattutto i consulenti del lavoro, basano l’esercizio della loro travagliata attività (di fatto, oramai improba per l’avvento del COVID-19), con specifico riferimento alla tematica del licenziamento ad nutum, da sempre pacificamente ritenuto applicabile al rapporto dirigenziale (con le note eccezioni ascritte all’obbligo, comunque, di adottare la forma scritta del recesso, al computo del dirigente ai fini del licenziamento collettivo ai sensi della L. 223/1991 e la questione afferente alla giustificatezza posta a base dell’estromissione del dirigente, per valutare la spettanza o meno dell’indennità supplementare usualmente statuita dalla contrattazione collettiva di settore), ciò nonostante, aprendo a scenari vertenziali di certo non pronosticabili in maniera limpida e cristallina.

Nemmeno il tempo di assorbire e metabolizzare il summenzionato arresto giurisprudenziale ed ecco sopraggiungere un nuovo fulmine giudiziale a ciel sereno e, in perfetto assioma con l’italico costume, in piena antitesi con quanto, sulla stessa tematica, affermato in precedenza.

Ciò che, a ben vedere, crea una sensazione di (totale) stordimento, deriva dalla considerazione del fatto che l’ulteriore sentenza sul licenziamento del dirigente, di segno opposto all’ordinanza del 26 febbraio 2021, sgorga dal medesimo Tribunale di Roma (perlomeno, giudice del lavoro diverso), creando, quindi, un obiettivo disagio in coloro che, a questo punto vanamente, cercavano nella giurisprudenza un segnale di conforto attraverso un’uniformità di vedute su una tematica scivolosa, sdrucciolevole e quanto mai spinosa.

Sia chiaro, si parla pur sempre di pronunce di merito (e dunque da vagliare in sede di legittimità), in ogni caso provenienti da un foro decisamente importante e autorevole come quello della Capitale (e non da un oscuro Tribunale ubicato nei meandri della provincia recondita nostrana) e sul presupposto che, negli ultimi anni, nel nostro Paese, la distinzione fra civil law e common law non sempre sembra così netta e recisa.

Ecco, pertanto, che il giudice del lavoro capitolino nuovamente adito, con sentenza n. 3605 del 15 aprile 2021, perviene alla conclusione che, in verità, le preclusioni di licenziamento a vario titolo introdotte dalla legislazione emergenziale non valgono per il rapporto dirigenziale, sviluppando tuttavia un ragionamento che tende a valorizzare l’indissolubile osmosi intercorrente, in modalità quasi simbiotica, fra il divieto in parola e il contemporaneo allestimento, da parte del Legislatore, di un apparato d’urgenza fondato su ammortizzatori sociali con causale “COVID-19” per mitigare il contraccolpo di costi e oneri per i datori di lavoro impossibilitati a riorganizzarsi riducendo (ahinoi) la propria forza lavoro a seguito della crisi scatenata dalla pandemia ancora in essere.

In altre parole, senza pretesa di esaustività e completezza, l’inibizione a licenziare per ragioni oggettive, ancorché ontologicamente concepite, opera solo per quei prestatori di lavoro subordinato per i quali siano disponibili le integrazioni salariali emergenziali, in quanto bilanciamento (più o meno) appropriato in funzione della compressione delle prerogative datoriali; ove, al contrario, come nel caso del dirigente, non siano fruibili ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro dipendenti da causa pandemica, la proibizione sul licenziamento non potrà operare (resta da chiedersi cosa sarebbe accaduto, in Tribunale, in ambiti ove, almeno agli albori della pandemia, la cassa integrazione in deroga era estesa anche al personale di categoria dirigenziale, come nella Regione Marche).

Insomma, un bel dilemma esistenziale (degno del miglior Gigi Marzullo, valente conduttore televisivo noto, oltre che per l’indubbia competenza, per le surreali e metafisiche domande/sollecitazioni che formulava agli attoniti suoi ospiti, sovente impotenti, di fronte al tenore ossianico ed ermetico del quesito ricevuto, a offrire un riscontro sensato) per il consulente del lavoro, il quale, sulla medesima tematica, si trova a fronteggiare due soluzioni divergenti e, come d’abitudine, qualunque sia la determinazione assunta, le conseguenze e le responsabilità (sebbene ampiamente illustrate al datore di lavoro assistito) gli saranno imputate ineluttabilmente dal cliente, su spinta e suggerimento del mitologico “cugino giuslavorista intermittente o a chiamata”, sempre pronto ad ammannire di perspicaci consigli chiunque, casualmente, si rivolga alla sua millenaria sapienza.

In conclusione, posta l’evidente assenza di solidi ancoraggi giuridici e giurisprudenziali, non rimane che appellarsi disperatamente alle poche sicurezze che rimangono e, in particolare, cercando nella musica, nell’arte cinematografica e nei fumetti le risposte altrimenti irrintracciabili.

Di talché, a chi scrive, pare che le ondivaghe oscillazioni del Tribunale di Roma appena rappresentate in sintesi, possano essere ricondotte, a ragion veduta, alle suggestioni che seguono, lasciando ai lettori (comprensibilmente basiti e perplessi) la scelta più confacente al loro sentire e, nel dettaglio:

  1. State of euphoria”, ottimo disco del 1988 ad opera del gruppo metal statunitense degli Anthrax, che non solo fotografa mirabilmente l’ebbrezza giurisprudenziale sino ad ora accennata, ma presenta anche una copertina “vertiginosa”, che identifica lo stato psicofisico a questo punto labile del consulente del lavoro, a causa delle peripezie professionali (e non solo) da affrontare giorno per giorno;
  2. Stati di allucinazione”, pellicola del 1980, diretta dal (controverso) regista Ken Russel e interpretata dal bravo William Hurt, vincitore di un premio Oscar nel 1986, che, credo, già dal titolo non necessiti di ulteriori approfondimenti rispetto alla condizione del consulente del lavoro, obnubilato da siffatta giurisprudenza;
  3. … And justice for all”, capolavoro del 1988 dei Metallica (non credo necessitino di presentazioni, data la loro fama ben al di fuori della cerchia dell’heavy metal), che, sia per il titolo, quanto per la copertina raffigurante, di fatto, la dea bendata della giustizia, denota chiaramente l’estrema alea degli esiti della giustizia nel diritto del lavoro (e non solamente);
  4.  “La donna che visse due volte – Vertigo”, caposaldo della settima arte, del 1958, ad opera del maestro del brivido Sir Alfred Hitchcock (cast stellare, con Kim Novak e James Stewart), in cui la sensazione di vertigine, sospensione e caduta nel vuoto che pervade l’intero film sono l’esatta descrizione dello smarrimento attuale dei professionisti;
  1. il personaggio dell’Enigmista, supercriminale DC Comics e nemico di Batman, ossessionato dagli indovinelli e che, in effetti, appare come immagine paradigmatica e anche paradossale dell’inesplicabile giurisprudenza dei nostri giorni!!

 

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