Sul concetto di insubordinazione
di Roberto Lucarini Scarica in PDF
Si fa presto a parlare di insubordinazione. Quando, invece, ci si trova concretamente a valutare una simile situazione, le cose (al solito) si complicano un po’. Si tratta infatti, salvo casi limite, di un concetto sfumato, che può essere valorizzato anche in considerazione delle diverse sensibilità individuali. A testimonianza di ciò basti osservare le varie norme sanzionatorie dei CCNL, ma soprattutto, dato che hanno importanza decisiva, le distinte e talora imprevedibili (evito epiteti non idonei al contesto) decisioni giurisprudenziali.
Date queste premesse anticipo non essere mia intenzione fornire le coordinate precise per una valutazione riguardo il concetto d’insubordinazione; mi limito quindi a commentare, brevemente, una recente ordinanza delle Suprema Corte, ovvero la n. 21103 del 24 luglio 2025, la cui lettura può comunque tornare utile per comprendere alcuni interessanti concetti.
Il caso operativo riguarda una lavoratrice, la quale «si era rivolta al suo superiore gerarchico, in presenza di altra collega, utilizzando un epiteto volgare, in un contesto di dissenso rispetto a una direttiva impartita». Ravvisata la grave insubordinazione, prevista dal CCNL applicato al rapporto di lavoro, il datore, all’esito del procedimento disciplinare, irrogava la sanzione espulsiva per giusta causa (ex art. 2119, c.c.).
Risultando vincente nel primo grado di giudizio, la lavoratrice vedeva ribaltata detta decisione in sede di Appello, motivo per il quale presentava ricorso alla Corte di Cassazione.
La Corte d’Appello, infatti, dopo un proprio attento accertamento, aveva qualificato il fatto nella sua gravità ossia quale «insubordinazione qualificata dall’ingiuria e dal rifiuto di adempiere». I giudici d’Appello facevano dapprima notare come tale infrazione fosse prevista, con sanzione espulsiva, anche dal CCNL, precisando tuttavia, subito dopo, come tale aspetto abbia un mero carattere esemplificativo e non certo esaustivo, dovendosi, invece, analizzare in concreto il fatto.
Vengono, inoltre, valorizzate alcune cause aggravanti: il manifestarsi dell’illecito di fronte ad altro lavoratore; un precedente disciplinare della lavoratrice. Il tutto con mero valore segnaletico.
La Suprema Corte, nel confermare il giudizio di secondo grado, spiega subito un paio di concetti ben noti:
- ribadisce il fatto che l’indicazione sanzionatoria prevista dal CCNL risulta «recessiva rispetto alla valutazione complessiva sulla gravità della condotta e sulla lesione del vincolo fiduciario, che è stata posta dalla Corte di merito a fondamento della legittimità del licenziamento»;
- riferisce, avuto riguardo all’intensità della violazione, che l’idoneità a integrare il concetto di giusta causa, «rientra nella valutazione di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivato» e nel caso specifico «questo potere di interpretazione e sussunzione non è stato esercitato in modo illogico o arbitrario, ma con un percorso motivazionale che ha ritenuto la singola condotta ingiuriosa di per sé grave».
Relativamente alle circostanze aggravanti, assunte dal giudice di merito essenzialmente per corroborate il proprio convincimento, viene specificato che non vi è normativa che «impedisce al giudice di merito di apprezzare un precedente comportamento del lavoratore per valutarne la personalità e l’idoneità alla prosecuzione del rapporto, anche se la sanzione correlata è sospesa».
Ciò che traspare in sostanza da quanto esposto, ai fini di queste note, è il tratto di discrimine che divide un’insubordinazione lieve da una grave; da qui transita infatti, non senza difficoltà, la riconduzione del comportamento del lavoratore verso il concetto civilistico di giusta causa, che, si ricorda, si fonda su «una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto» di lavoro.
I passi seguiti dal giudice di secondo grado appaiono dunque logici oltreché corretti e possono così sintetizzarsi:
- una prima valutazione dev’essere effettuata sul disposto del CCNL applicato al rapporto di lavoro, anche se, come visto, sarà poi l’analisi del caso concreto a formare il convincimento del giudice, che dunque resta libero, rispetto al disposto contrattuale, nella sua decisione;
- il secondo passaggio riguarda la possibile sussunzione del fatto in sé nell’ambito definitorio della giusta causa (ex 2119, c.c.) e un’attenta valutazione in relazione alla proporzionalità della sanzione irrogata. In tale delicato passaggio entrano in gioco differenti valutazioni, che si muovono peraltro su diversi fronti: l’analisi del fatto e delle circostanze, precedenti e attuali, che lo hanno provocato; i trascorsi lavorativi del dipendente, anche sul piano disciplinare; il ruolo del lavoratore in azienda, in specie la sua mansione, e quello delle persone coinvolte, nel caso in esame un superiore gerarchico; il contesto in cui l’evento si è svolto, tenendo conto della presenza o meno di diversi soggetti.



