7 Settembre 2016

Alternanza scuola-lavoro e sistema duale

di Emiliana Maria Dal Bon

La crescente disoccupazione, specialmente giovanile, che negli ultimi anni ha toccato fortemente il nostro Paese, non ha trovato soluzione nemmeno negli incentivi all’occupazione e all’assunzione che la legislazione ha proposto e riproposto (tutele crescenti, esoneri contributivi e simili).

Il problema principale, infatti, è che i giovani escono dalla scuola e dai percorsi formativi privi, ovviamente, di esperienza concreta nel mondo del lavoro, che, invece, nel tentativo di riprendersi dalla crisi congiunturale, sarebbe anche interessato ad assumere nuove risorse, ma la maggior parte delle volte le vorrebbe già con esperienza. Chiaramente la difficoltà sta nel fatto che i giovani che hanno dedicato gli anni obbligatori o anche quelli successivi alla formazione scolastica non possono aver maturato compiutamente anche esperienza di tipo lavorativo.

Le aziende risentono molto della poca pragmaticità e praticità dei percorsi formativi, specie quelli non di tipo professionale, che immettono nel mondo della ricerca lavorativa giovani che hanno per lo più, se non esclusivamente, competenze teoriche. In questo panorama è, quindi, facile che un’azienda scelga di assumere risorse già con esperienza scartando i giovani, anche se attraverso la loro assunzione potrebbe giovarsi di incentivi ulteriori.

Le strade che il Legislatore ha deciso di percorrere per cercare di trovare una soluzione a questo problema sono 2:

  1. l’alternanza scuola-lavoro;
  2. il c.d. sistema duale.

Come vedremo nel prosieguo della trattazione, ciascuna di queste strade fonda la sua realizzazione in uno strumento normativo: il tirocinio curricolare nel caso dell’alternanza scuola-lavoro e il contratto di apprendistato nel caso del sistema duale.

 

L’alternanza scuola-lavoro

Con la locuzione “alternanza scuola-lavoro” si identifica una modalità di realizzazione dei corsi di istruzione del secondo ciclo, volta ad assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, l’acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro. In sostanza i giovani, durante gli anni scolastici delle scuole superiori (scuole secondarie di II grado), affiancano alle ore scolastiche ordinamentali ore in cui si affacciano, tramite lo strumento del tirocinio, sul mondo del lavoro.

I percorsi di alternanza scuola-lavoro sono rivolti agli studenti dai 15 ai 18 anni, sia del sistema dei licei che del sistema dell’istruzione e della formazione professionale.

I percorsi si svolgono sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa e sulla base di convenzioni che le istituzioni scolastiche possono concludere con imprese o con le rispettive associazioni di rappresentanza, nonché con le Camere di commercio, o con Enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non costituiscono rapporto individuale di lavoro.

Molto importante è sottolineare quest’ultimo concetto: i giovani, nell’ambito di progetti di alternanza scuola-lavoro, non diventano lavoratori, ma conservano lo status di studenti, poiché non si instaura nessun rapporto di lavoro mediante il tirocinio.

La prima disposizione legislativa ad occuparsi del tema è stata la L. 53/2003, legge delega che ha previsto l’alternanza di periodi di studio e di lavoro. Sulla base dei criteri in essa elencati è stato adottato il D.Lgs. 77/2005. Le finalità dell’alternanza, individuate dal D.Lgs. 77/2005 sono:

  • attuare modalità di apprendimento flessibili ed equivalenti sotto il profilo culturale ed educativo, rispetto agli esiti dei percorsi del secondo ciclo, che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l’esperienza pratica;
  • arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l’acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro;
  • favorire l’orientamento dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali;
  • realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la società civile;
  • correlare l’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio.

I percorsi in alternanza sono strutturati in maniera flessibile e comprendono periodi di regolare formazione in aula (nei quali, quindi, il ragazzo frequenterà la propria scuola) e periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro. Questi ultimi sono articolati secondo criteri di gradualità e progressività che rispettino lo sviluppo personale, culturale e professionale degli studenti in relazione alla loro età e possono essere svolti anche in periodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni (ad esempio con tirocini che si svolgano nel periodo estivo).

Un’importante novità in materia di alternanza scuola-lavoro è stata inserita dalla L. 107/2015 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), nota come Buona scuola.

La legge, al comma 33 dell’unico articolo, ha stabilito l’obbligatorietà per tutte le scuole superiori di attivare e far svolgere ai propri studenti percorsi di alternanza scuola-lavoro.

In particolare, al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti, la Buona scuola ha previsto che i percorsi di alternanza scuola-lavoro, come individuati e disciplinati del D.Lgs. 77/2005, devono essere attuati:

  • negli istituti tecnici e professionali, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, per una durata complessiva di almeno 400 ore;
  • nei licei, nel triennio, per una durata complessiva di almeno 200 ore.

 

I tirocini curricolari

Molto importante quando si parla di tirocini è avere ben presente la differenza tra i tirocini curriculari (che sono, appunto, quelli attivati nell’ambito di progetti di alternanza scuola-lavoro) e tirocini extracurricolari, strumento di inserimento o reinserimento lavorativo, disciplinato a livello regionale.

I tirocini curricolari, proprio perché cosa diversa, sono esplicitamente esclusi dalla disciplina introdotta dalla Conferenza Stato-Regioni il 24 gennaio 2013 in materia di tirocini extracurricolari di inserimento e reinserimento lavorativo.

L’attivazione dei tirocini curricolari è ammessa solo da parte di:

  • università o istituti di istruzione universitaria abilitati al rilascio di titoli accademici;
  • istituzioni scolastiche che rilascino titoli aventi valore legale;
  • centri di formazione professionale operanti in regime di convenzione con Provincia o Regione.
  • Il soggetto avviato in tirocinio formativo curriculare può essere:
  • uno studente universitario, intendendo per tale anche il soggetto iscritto a master universitari e a corsi di dottorato;
  • uno studente di scuola secondaria superiore;
  • un allievo di istituto professionale ovvero di corsi di formazione iscritti al corso di studio per il quale è promosso il tirocinio.

Per realizzare le finalità tipiche dell’alternanza scuola-lavoro, il periodo di tirocinio deve essere collocato all’interno del periodo di frequenza del corso di studi, anche se non direttamente collegato al riconoscimento di crediti formativi.

 

Il sistema duale

Mentre i percorsi di alternanza scuola-lavoro mirano a dare ai giovani un’idea del mondo del lavoro durante il loro periodo da studenti, i percorsi di apprendistato c.d. duale (perché questo è lo strumento mediante il quale si attiva il sistema duale) hanno l’obiettivo di perseguire contemporaneamente finalità formative e lavorative, facendo in modo che i due campi si intersechino e si arricchiscano vicendevolmente.

In sostanza, mediante il sistema duale, si consente allo studente di conseguire un titolo di studio e contestualmente, attraverso appunto l’apprendistato, di inserirsi in un contesto aziendale di lavoro.

A seconda della tipologia di apprendistato che si attiva (di cui si dirà meglio dopo) l’età dei giovani cui ci si può rivolgere varia da minimo 15 anni a massimo 29.

La differenza fondamentale con i percorsi di alternanza scuola-lavoro si rinviene nel fatto che con l’apprendistato duale i giovani acquisiscono il doppio status di studenti e lavoratori.

Restano, infatti, studenti dell’istituzione scolastica o formativa nella quale proseguono il loro percorso per il conseguimento del titolo di studi e divengono lavoratori nell’azienda all’interno della quale, con la sottoscrizione del contratto di apprendistato, prestano la propria attività lavorativa.

 

La disciplina normativa del sistema duale

L’idea di una dualità tra formazione e lavoro si è affacciata per la prima volta nel nostro ordinamento con il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 5 giugno 2014. In questo provvedimento veniva regolato un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, per il triennio 2014-2016.

Il progetto contemplava, ovviamente, la stipulazione di contratti di apprendistato che consentissero allo studente di conseguire il diploma di istruzione secondaria superiore.

Per l’attivazione di questo programma sperimentale era necessario che l’impresa interessata stipulasse un protocollo d’intesa con la Regione di riferimento e con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Nell’ambito di questi protocolli d’intesa, poi, le istituzioni scolastiche e le imprese avrebbero stipulato specifiche convenzioni per regolare i rapporti e le responsabilità dei vari soggetti coinvolti nonché tutti i profili organizzativi per la realizzazione del piano formativo.

I percorsi così realizzati avrebbero avuto struttura flessibile, articolandosi in periodi di formazione in aula e periodi di formazione sul posto di lavoro, in un sistema, appunto, duale.

A dare forma definitiva al sistema duale ci ha pensato il D.Lgs. 81/2015, noto anche come Testo Unico dei contratti. Il decreto, che si inserisce nella riforma nota come Jobs Act, ha agito su tutte le forme contrattuali vigenti nel nostro ordinamento, riordinandole in un unico testo. Nel fare ciò ha abrogato il precedente T.U. apprendistato (D.Lgs. 167/2011) e dedicato il capo V alla disciplina di questa forma contrattuale.

Ciò che rileva, in particolar modo, è il comma 3, articolo 41, D.Lgs. 81/2015, dove si legge che “l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e quello di alta formazione e ricerca integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro”.

Si ha, quindi, un riconoscimento definitivo e a livello legislativo dell’apprendistato come tipologia contrattuale di tipo duale, e in particolar modo di due specifiche tipologie di apprendistato nell’ambito delle quali può parlarsi di sistema duale:

  1. l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
  2. l’apprendistato di alta formazione e ricerca.

Nel prosieguo del T.U., come si vedrà nel dettaglio nel prossimo paragrafo, sono definite le regole che disciplinano le varie tipologie di contratti di apprendistato. Sotto questo aspetto, in realtà, non sono molte le novità introdotte dal Jobs Act rispetto alla previgente disciplina dell’apprendistato contenuta nel D.Lgs. 167/2011.

La regolamentazione del sistema duale, dopo il riconoscimento del D.Lgs. 81/2015, è passata attraverso l’accordo raggiunto in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 24 settembre 2015. Tale accordo detta alcune importanti linee guida per la concreta attivazione di progetti duali all’interno delle scuole e delle aziende, definendo altresì i punti cardine che le specifiche regolamentazioni dovranno toccare.

In questa carrellata sulla disciplina normativa del sistema duale si inserisce, in ordine temporale, il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 12 ottobre 2015, che, in attuazione dell’articolo 46, D.Lgs. 81/2015, definisce alcuni criteri e standard concreti per la realizzazione dei programmi di apprendistato duale, sia del c.d. I tipo (apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore) sia del c.d. III tipo (apprendistato di alta formazione e ricerca).

In particolare il decreto ministeriale definisce i requisiti che i datori di lavoro devono avere per poter stipulare contratti di apprendistato duale, ossia:

  • capacità strutturali, cioè spazi per consentire lo svolgimento della formazione interna e, in caso di studenti con disabilità, il superamento o abbattimento delle barriere architettoniche;
  • capacità tecniche, ossia una disponibilità strumentale per lo svolgimento della formazione interna, in regola con le norme vigenti in materia di verifica e collaudo tecnico, anche reperita all’esterno dell’unità produttiva;
  • capacità formativa, garantendo la disponibilità di uno o più tutor

Anche la figura dei tutor viene definita dal decreto in parola, che sottolinea l’importanza di un rapporto diretto tra il tutor aziendale (che può essere anche il datore di lavoro in prima persona), il tutor formativo e l’apprendista, al fine di assisterlo durante tutto il percorso.

Molto importante è poi la parte in cui il decreto stabilisce la durata del contratto di apprendistato, definendo durate specifiche per ciascuna tipologia di titolo di studio che viene perseguito (articolo 4, D.M. 12 ottobre 2015).

Altra parte, poi, assai rilevante è quella relativa alla definizione degli standard formativi, per la quale il decreto rinvia principalmente a discipline precedenti, diverse a seconda delle tipologie di apprendistato.

Infine, allegati al D.M. si possono trovare alcuni utilissimi fac simile:

  • una scheda di protocollo che l’istituzione formativa e il datore di lavoro devono siglare per attivare il singolo e concreto progetto di apprendistato di primo o terzo tipo, definendo compiti e responsabilità dei soggetti in gioco;
  • uno schema di piano formativo individuale, che deve necessariamente essere predisposto in forma scritta e sintetica (come previsto dall’articolo 42, D.Lgs. 81/2015);
  • uno schema di dossier individuale dell’apprendista, relativo – tra l’altro – alle competenze acquisite, che il tutor formativo e il tutor aziendale devono compilare in maniera collaborativa.

A completare la disciplina concreta delle forme duali di apprendistato stanno, poi, intervenendo i rappresentanti datoriali e quelli dei lavoratori, mediante accordi interconfederali specifici per settore e, a volte, anche per area geografica.

Ad esempio, il 18 maggio 2016, Confindustria ha concluso uno di questi accordi con Cgil, Cisl e Uil, definendo per il proprio settore regole specifiche in materia di retribuzione dell’apprendista.

Analogamente si è mossa Confartigianato con una disciplina specifica per la Provincia di Varese, il 2 febbraio 2016.

 

La ricerca delle fonti nel caso concreto

In tutto ciò, occorre ricordare che molta della disciplina concreta dei contratti di apprendistato, anche duali, potrebbe essere contenuta nei Ccnl dello specifico settore, poiché ad essi è riservata un’ampia delega dalla legge. Questo, chiaramente, complica il lavoro di chi deve comprendere la disciplina normativa da applicare al caso concreto, perché molte, e molto stratificate, sono e possono essere le fonti cui fare riferimento.

Un consiglio è certamente quello di partire dal basso, ossia cominciare una verifica circa l’esistenza di una regolamentazione al livello più vicino ai lavoratori, quindi all’interno di contratti collettivi aziendali e accordi interconfederali, prima di livello territoriale (come, ad esempio, quello prima citato di Confartigianato per la Provincia di Varese) e poi a livello nazionale.

In assenza di una disciplina a questi livelli, occorrerà spostarsi nell’ambito nazionale e verificare il Ccnl di riferimento, che, però, potrebbe non aver disciplinato il contratto di apprendistato duale. Si tenga, infatti, presente che, per molti anni, l’unica (o quasi) forma di apprendistato attivata in Italia è stata quella dell’apprendistato professionalizzante (c.d. II tipo, disciplinato ora dall’articolo 44, D.Lgs. 81/2015) e per questo i Ccnl che si sono attivati per prevedere una disciplina specifica dell’apprendistato si sono concentrati quasi esclusivamente su questa.

Se, quindi, nemmeno il Ccnl di riferimento contiene una regolamentazione della forma di apprendistato duale che si vuole attivare, occorrerà seguire il criterio indicato dal Ministero del lavoro nell’interpello n. 4/2013. In questo documento, infatti, il Ministero ha risposto a un’istanza presentata dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che chiedeva chiarimenti su come procedere per sottoscrivere un contratto di apprendistato (si parlava nello specifico, anche qui, di apprendistato professionalizzante o di mestiere, ma per analogia questa regola può essere applicata anche alle forme di apprendistato duale) nel caso in cui mancasse una regolamentazione dello stesso a livello di contrattazione nazionale o a livello interconfederale.

Il Ministero ha risposto che, al fine di non ostacolare il ricorso all’istituto, in assenza di un contratto collettivo proprio del settore di appartenenza o nel caso in cui il datore di lavoro applichi un contratto collettivo che non abbia disciplinato l’apprendistato, si ritiene possibile che lo stesso datore di lavoro possa far riferimento a una regolamentazione contrattuale di settore affine per individuare sia i profili normativi che economici dell’istituto.

 

Focus sull’apprendistato duale nel D.Lgs. 81/2015

Nell’analisi della disciplina dell’apprendistato contenuta del D.Lgs. 81/2015 si nota subito che vi è una parte riguardante le regole generali applicabili a tutte le tipologie di apprendistato (articoli 42, 46 e 47), e una parte specifica dedicata a ciascuna tipologia, in particolar modo:

  • articolo 43 – apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (c.d. I tipo);
  • articolo 44 – apprendistato professionalizzante (c.d. II tipo, di cui non ci occuperemo);
  • articolo 45 – apprendistato di alta formazione e ricerca (c.d. III tipo).

Poiché il sistema duale viene realizzato nell’ambito del I e del III tipo di apprendistato, sarà a queste discipline che dedicheremo le prossime righe.

Nell’ambito della disciplina generale (articolo 42) viene stabilito che il contratto di apprendistato deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e contenere, in forma sintetica, il piano formativo individuale.

Riguardo alla durata, come abbiamo già accennato, il T.U. parla solo di durata minima, ponendo il limite dei 6 mesi e lasciando al D.M. 15 ottobre 2015 la definizione della durata complessiva dei singoli percorsi.

Molto interessante la disciplina del recesso, peraltro invariata rispetto alle regolamentazioni precedenti: viene stabilito che al termine del periodo di apprendistato le parti possono recedere dal contratto, ai sensi dell’articolo 2118 cod. civ., quindi senza bisogno di una motivazione (c.d. libera recidibilità), con preavviso decorrente dal medesimo termine.

Come noto, se nessuna delle parti recede il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, poiché nella sostanza il contratto di apprendistato è già ab initio un contratto a tempo indeterminato che presenta la particolarità di avere una parte iniziale dedicata alla formazione del lavoratore. In particolare, poi, viene stabilito che nel contratto di apprendistato di I tipo costituisce giustificato motivo di licenziamento il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi come attestato dall’istituzione formativa.

Il T.U. contiene poi una forte delega agli accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, per la definizione specifica della disciplina dell’apprendistato (come accennavamo sopra), ma stabilisce una serie di principi invalicabili, che sono:

  • divieto di retribuzione a cottimo;
  • possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto o, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e proporzionata all’anzianità di servizio;
  • presenza di un tutore o referente aziendale;
  • possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei Fondi paritetici interprofessionali;
  • possibilità del riconoscimento, sulla base dei risultati conseguiti nel percorso di formazione, esterna e interna all’impresa, della qualificazione professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;
  • registrazione della formazione effettuata e della qualificazione professionale ai fini contrattuali, eventualmente acquisita nel libretto formativo del cittadino;
  • possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del lavoro, di durata superiore a 30 giorni;
  • possibilità di definire forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato.

Due discipline molto importanti per il contratto di apprendistato sono contenute in questa parte generale, ossia le regole riguardanti le clausole di contingentamento e quelle relative alle percentuali di stabilizzazione.

In merito alle prime, ossia al numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione (ma solo con somministrazione a tempo indeterminato), il D.Lgs. 81/2015 stabilisce il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio in azienda.

Viene, in ogni caso, stabilito che il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a 3, può assumere apprendisti in numero non superiore a 3.

Per quanto concerne, invece, la stabilizzazione, la legge pone un obbligo in capo al datore di lavoro con almeno 50 dipendenti, il quale non può assumere nuovi apprendisti se non abbia confermato (quindi mantenuto alle proprie dipendenze dopo il termine del periodo di formazione) nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, almeno il 20% degli apprendisti con cui ha stipulato contratti di apprendistato.

Per ovvi motivi restano, però, esclusi da questo computo i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, dimissioni o licenziamento per giusta causa. La percentuale prevista dalla legge può in ogni caso essere diversa se la previsione è contenuta in un contratto collettivo di livello nazionale.

Entrando nel dettaglio della disciplina dell’apprendistato di I tipo (articolo 43), si sottolinea che possono essere assunti con tale contratto, in tutti i settori di attività, i giovani che hanno compiuto i 15 anni di età e fino al compimento dei 25. La durata del contratto è determinata in considerazione della qualifica o del diploma da conseguire dal D.M. 15 ottobre 2015, ma la legge prevede che non può in ogni caso essere superiore a 3 anni o a 4 anni nel caso di diploma professionale quadriennale.

Nelle tipologie di apprendistato duale (quindi anche in quello di III tipo) la regola prevede che la formazione c.d. esterna sia impartita direttamente dall’istituzione formativa frequentata dall’apprendista, mentre quella interna sia impartita dall’azienda. Salvo che i contratti collettivi (in questo caso anche di livello aziendale o territoriale o gli accordi interconfederali) non prevedano una disciplina più favorevole per il lavoratore, per le ore di formazione esterna il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo, mentre per quelle di formazione interna è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10% di quella che gli sarebbe dovuta.

Infine, la legge prevede la possibilità di proseguire il contratto di apprendistato oltre il conseguimento della qualifica o del diploma professionale, nonché del diploma di istruzione secondaria superiore, trasformandolo in apprendistato professionalizzante, quando il lavoratore voglia conseguire la qualificazione professionale ai fini contrattuali.

Una piccola ma importante precisazione inerente l’attivazione di contratti di apprendistato di I tipo deve essere fatta relativamente a un profilo molto delicato: per una parte (almeno) dello svolgimento di questi contratti di lavoro di tipo duale occorre ricordarsi che si ha a che fare con soggetti minori. Questo significa che dovrà essere prestata particolare attenzione alla realizzazione concreta dei contratti, in relazione ai quali entreranno in gioco anche le specifiche regole dettate dalla L. 977/1967 in materia di requisiti di età, visite mediche preventive e periodiche e orario di lavoro (lavoro notturno, riposi intermedi, riposo settimanale e ferie).

La disciplina dell’apprendistato di alta formazione e di ricerca (III tipo, articolo 45) rispetto alla precedente e anche all’apprendistato professionalizzante, copre sicuramente un numero inferiore di casi. Si tratta, infatti, di un sistema duale nel quale il titolo da conseguire è di tipo universitario o comunque di alta formazione. Sono ricompresi i percorsi relativi ai dottorati di ricerca, ma anche, ad esempio, quelli di praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. Riguardo alla disciplina della retribuzione delle ore di formazione, si rimanda a quanto detto poco sopra poiché la regolamentazione è la medesima nelle 2 tipologie di apprendistato che stiamo esaminando.

Il contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca è indirizzato a soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore o di un diploma professionale conseguito nei percorsi di istruzione e formazione professionale integrato da un certificato di specializzazione tecnica superiore o del diploma di maturità professionale all’esito del corso annuale integrativo.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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