17 Luglio 2018

Le inutili complicazioni per i rinnovi dal D.L. 87/2018

di Luca Vannoni

Con la pubblicazione nella G.U. n. 161 del 13 luglio 2018, con entrata in vigore il giorno successivo, il sabato, giorno già di per sé fastidioso per affrontare complesse novità normative, il D.L. 87/2018 stravolge i due contratti temporanei principali di lavoro subordinato, il contratto a tempo determinato e la somministrazione, con passaggi tutt’altro che semplici da applicare.

Ma prima di entrare nel merito della modifica sui rinnovi dei contratti a termine, in ordine alla fonte, lascia veramente perplessi la scelta della decretazione di urgenza per la modifica, in senso restrittivo, di una tipologia contrattuale, tenuto conto, anche per giustificarne l’urgenza, che non vi è alcun periodo transitorio e, come previsto dall’articolo 1, comma 3, D.L. 87/2018, le nuove disposizioni sul contratto a termine si applicano sia ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore, sia a rinnovi e proroghe, effettuate sempre successivamente all’entrata in vigore, di contratti sottoscritti in corso alla medesima data.

Passando alla questione del rinnovo del contratto a termine, è evidente che tale istituto viene considerato negativo in modo aprioristico, prevedendo l’obbligo di rispettare le nuove causali (se saranno mantenute dopo la conversione, la speranza è che almeno siano sfrondate dai tanti aggettivi e da termini ambigui: tolta quella sostitutiva, al momento sono troppo sdrucciolevoli per essere utilizzate) previste dall’articolo 19, comma 1, a prescindere dalla durata del contratto.

Ma che cosa si intende per rinnovo?

Innanzitutto è opportuno analizzare la struttura originaria del D.Lgs. 81/2015, tale norma prende in considerazione i rinnovi contrattuali in due passaggi distinti:

  • all’articolo 19, comma 2, prevede un limite per sommatoria (ora pari a 24 mesi) alla successione di contratti tra stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, purché si riferiscano a mansioni di pari livello e categoria e indipendentemente dai periodi di interruzione;
  • all’articolo 21, viceversa, riferito espressamente a proroghe e rinnovi, regolamentava esclusivamente il c.d. stop and go, cioè l’obbligo far trascorrere dei periodi neutri di 10 o 20 giorni a seconda della durata del primo contratto (fino a 6 mesi o superiore a 6 mesi).

Per lo stop and go, stante anche la diversa conformazione del limite, non vi sono specificazioni di quali rinnovi facciano scattare l’attesa obbligatoria. La norma parla esclusivamente di riassunzioni a tempo determinato e, pertanto, è applicabile anche in caso di rinnovi che riguardino mansioni di livelli diversi: l’innesco, nonché l’unico elemento che colora la fattispecie, è il reiterare contratti a termine.

L’obbligo di causale per i rinnovi è stato inserito aggiungendo il comma 01 all’articolo 21, senza ulteriori dettagli sui rinnovi coinvolti, nemmeno come arco temporale tra un contratto e l’altro.

Da un punto di vista letterale, la norma potrebbe quindi essere interpretata nel senso che qualunque rinnovo è incluso nell’obbligo di motivazione, e non solo quelli relativi a mansioni dello stesso livello (che rientrano nel contatore dei 24 mesi per sommatoria).

Ad ogni modo, l’obbligo di motivazione dei rinnovi sulle incerte trame dell’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015, così come modificato dal D.L. 87/2018, farà sì che, chiuso un rapporto a termine con un lavoratore, anche per periodi brevi e decisamente inferiori ai 12 mesi, il datore di lavoro preferirà comunque rivolgersi a un nuovo lavoratore: alzi la mano chi ha voglia di avventurarsi nello specificare “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività” ovvero “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”.

 

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