2 Febbraio 2023

Mancata specificazione delle mansioni e nullità del patto di prova

di Luca Vannoni

La recente pronuncia della Corte d’Appello di Roma del 17 gennaio 2023 ci dà l’occasione per ragionare su un aspetto del contratto di lavoro spesso trascurato o, comunque, non sempre affrontato con la giusta attenzione: la specificazione delle mansioni. In assenza di una corretta formalizzazione nel contratto di lavoro, gli effetti non si riverberano direttamente sulla validità del contratto o sulla tutela della professionalità (ferme restando possibili conseguenze sanzionatorie in via amministrativa legate al D.Lgs. 104/2022), ma su una clausola accessoria, qual è il patto di prova.

Già in passato in giurisprudenza si è affermata (si veda, ad esempio, Cassazione n. 16587/2017) la necessità che il patto di prova contenga la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata anche per relationem alle declaratorie del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione, ma solo se il richiamo sia sufficientemente specifico.

In tale solco si colloca la sentenza della Corte d’Appello di Roma di pochi giorni fa, la cui analisi risulta comunque interessante, poiché, in quanto pronuncia di merito, si sofferma su aspetti fattuali, fornendo così utili indicazioni operative

In particolare, la Corte romana ha accolto il ricorso presentato da una lavoratrice, assunta a tempo determinato (12 mesi circa) e licenziata per mancato superamento del periodo di prova.

Nella lettera di assunzione, in luogo delle effettive mansioni, era stata indicata esclusivamente la qualifica presente nella declaratoria del Ccnl applicato “addetto di negozi o filiali di esposizione”, aspetto che ha portato la Corte d’Appello a dichiarare la nullità del patto di prova, da cui consegue l’illegittimità del licenziamento.

Il termine “addetto” è stato, infatti, ritenuto generico e omnicomprensivo e i termini “negozi” e “filiali di esposizione” sono analogamente “muti” rispetto all’individuazione delle mansioni oggetto del contratto di lavoro.

Ne consegue che, in mancanza di una maggiore specificazione nel contratto individuale di lavoro, il richiamo a quel “profilo” indicato nel Ccnl è insufficiente, potendo essere molteplici e oggettivamente diverse e, quindi, non univoche le mansioni riferibili a quel profilo.

Pertanto, la mancanza di tali indicazioni non consente al lavoratore di contestare il mancato superamento del periodo di prova: se ne deve dedurre la nullità del patto per indeterminatezza e indeterminabilità del suo oggetto.

Essendo un contratto a termine, la tutela del lavoratore è rappresentata dal diritto della lavoratrice a ricevere tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento fino alla scadenza del termine finale apposto al contratto di lavoro subordinato, circa 10 mensilità.

Se fosse stata assunta a tempo indeterminato, il licenziamento per mancato superamento della prova, stante la nullità di esse, sarebbe stato ugualmente illegittimo, ma con conseguenze e tutele molto più imprevedibili: com’è noto, la disciplina del licenziamento spacchetta le tutele a seconda del vizio, con una progressione che parte dalla tutela risarcitoria “blanda” fino alla reintegra del lavoratore. La nullità del patto di prova è una fattispecie non prevista; a ogni modo, dalla nullità discende un licenziamento non motivato e, quindi, vi è il rischio di reintegra. Attenzione, quindi: per qualifiche generiche da cui non è possibile distillare in modo univoco le mansioni (si pensi, in senso contrario, alle qualifiche di addetto alle pulizie o di custode/portiere), anche se previste dal contratto collettivo, il patto di prova è nullo e il licenziamento illegittimo e imprevedibile nelle sue conseguenze.

 

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