25 Gennaio 2018

Il recesso dall’accordo di lavoro agile

di Luca Vannoni

Il comma 2, articolo 19, L. 81/2017, precisa che il lavoro in smart working può essere sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, con apposita specificazione nell’accordo.

Nel caso in cui sia a tempo indeterminato, l’articolo 19, comma 2, L. 81/2017, stabilisce che il recesso possa avvenire con un preavviso non inferiore a 30 giorni. Tale facoltà è quindi garantita a entrambe le parti ed è inderogabile. Il passaggio sembra presupporre che non vi possano essere impossibilità organizzative datoriali nel procedere con il ripristino, su istanza del lavoratore, delle ordinarie modalità di esecuzione e che l’interesse prioritario soddisfatto dal lavoro agile è quello del lavoratore.

Non sempre è così. Prendiamo il seguente caso.

Un’azienda deve procedere con nuove assunzioni, ma ha forti problemi logistici, in quanto la sede di lavoro non può accogliere tutti i nuovi lavoratori per raggiunti limiti di spazio: per superarli, senza l’onerosa soluzione di una nuova sede, assume prevedendo la modalità in smart working, con sistemi di turnazione del giorno/giorni di prestazioni esterne al luogo di lavoro. In questo caso il recesso da parte del lavoratore, comunque ipotesi remota stante i vantaggi di una prestazione saltuariamente casalinga, anche come risparmio sui costi di viaggio per recarsi al lavoro, potrebbe determinare seri problemi organizzativi al datore di lavoro.

Spostando l’attenzione alle questioni operative nella redazione dell’accordo di smart working, tenuto conto di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile stabilire contrattualmente il divieto di recesso da parte del lavoratore in termini assoluti, mentre si considera legittima la clausola in cui il lavoratore rinunci temporaneamente ad avvalersi di tale facoltà, così come avviene, in riferimento al recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con i patti di durata minima. Ad ogni modo, nel momento in cui un’azienda si è strutturata logisticamente e organizzativamente per implementare il lavoro agile, il recesso da tale modalità lavorativa da parte del dipendente potrebbe creare problemi sul mantenimento del posto di lavoro in una modalità tradizionale divenuta incompatibile.

Tale situazione dimostra come la previsione del libero recesso dagli accordi a tempo indeterminato sia eccessivamente fuori fuoco rispetto alla fattispecie e ai suoi potenziali sviluppi del lavoro agile: sarebbe stato sicuramente meglio, prendendo spunto dalla disciplina contenuta nell’Accordo interconfederale del 9 giugno 2004 (articolo 6, comma 2), escludere la recedibilità quando diviene caratteristica strutturale delle mansioni e dell’organizzazione del lavoro, o quanto meno prevederne forme di derogabilità.

Tornando alla disciplina della L. 81/2017, in materia di recesso viene prevista una regola generale per i lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 1, L. 68/1999: il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a 90 giorni, al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore.

Il secondo comma dell’articolo 19 regolamenta anche l’ipotesi del recesso per “giustificato motivo”, in base al quale ciascuno dei contraenti può recedere dal patto di smart working prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato. Anche in questo caso la soluzione legislativa adottata sembra oltremodo generica e sibillina: quando è possibile ritenere l’esistenza di un motivo che giustifica il recesso da tale modalità? Nella sfera del datore di lavoro la risposta è più semplice, in quanto si ritiene che qualunque ragione legata all’organizzazione del lavoro e alla sua efficienza possa portare a un’interruzione anticipata della modalità agile. Riguardo al lavoratore, il giustificato motivo dovrebbe misurare una sopravvenuta incompatibilità tra la prestazione e il luogo esterno scelto dal lavoratore.

 

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