24 Gennaio 2023

Ritenute fiscali e previdenziali: recente giurisprudenza penale

di Roberto Lucarini

Il tema del versamento delle ritenute fiscali e previdenziali, per il caso di omissione da parte del datore di lavoro, può riguardare anche il delicato aspetto legato al possibile configurarsi di una fattispecie di illecito di natura penale.

Le norme del presidio penale, per i 2 casi in esame, sono ben distinte, pur se entrambe hanno subito, nel corso degli anni, diversi mutamenti.

Sul piano tributario, il riferimento va all’articolo 10-bis, D.Lgs. 74/2000, che può essere così sintetizzato:

  • omissione di versamento di ritenute fiscali per una somma superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta;
  • omissione che perdura oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta;
  • riguarda le ritenute dovute sulla base del modello 770 (situazione, come vedremo, non più rilevante) ovvero risultanti dalle CU rilasciate ai sostituiti;
  • reato punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.

Si noti subito come, su tale norma, siano intervenute sia la Corte di Cassazione, in sezioni unite (n. 24782/2018), che, più di recente, la Corte Costituzionale (n. 175/2022), in relazione alle fonti di prova da cui potrebbe scaturire l’omissione ai fini del rilievo penale. Il problema è legato all’introduzione, fatta nel 2015, tra dette fonti, del modello 770, che, di fatto, è andato ad aggiungersi alle certificazioni rilasciate ai sostituiti. Proprio il Giudice delle leggi, nel luglio 2022, è giunto a dichiarare l’illegittimità costituzionale di tale addendum, per eccesso di delega, andando, quindi, a specificare come solo “il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall’altra il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario”.

Seguendo tale assunto, la Suprema Corte, sezione penale, con sentenza n. 43238/2022, ha ribadito che l’unica fonte di prova, riguardo la fattispecie di reato in esame, deve provenire dalle CU effettivamente rilasciate ai sostituiti.

Sul piano previdenziale, invece, il riferimento al presidio penale va all’articolo 2, D.l. 463/1983, come modificato da ultimo nel 2016, che in breve si propone in questo modo:

  • omissione di versamento di ritenute previdenziali per una somma superiore a 10.000 euro annui;
  • omissione che perdura oltre 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione;
  • reato punito con la reclusione fino a 3 anni e con la multa fino a 1.032 euro.

Tale illecito prevede un’evidente condotta omissiva del versamento, da parte del datore di lavoro, il quale ha operato la trattenuta al lavoratore al fine di soddisfare l’obbligazione che quest’ultimo ha verso l’Inps. Da ciò, come afferma la Cassazione, sezione penale (n. 44861/2022), “ne consegue che l’omesso versamento delle ritenute effettuate a fini contributivi sulle retribuzioni effettivamente corrisposte si traduce nella distrazione ad altri fini di somme di denaro astrattamente di pertinenza del lavoratore dipendente”.

Il presupposto dell’illecito, infatti, è il pagamento delle retribuzioni ai lavoratori e la conseguente obbligazione datoriale verso l’Istituto previdenziale. Sulla base di ciò, la Suprema Corte spiega come, per tale fattispecie di illecito penale, sia sufficiente la mera sussistenza del dolo generico, ossia la volontà di non operare il versamento delle ritenute, senza necessitare, invece, del più qualificato dolo specifico, che si contraddistingue in un ulteriore fine delittuoso.

I Supremi giudici non lasciano spazio di giustificazione a eventuali difficoltà aziendali, legate alla situazione economico finanziaria, tanto da specificare come il datore abbia l’onere “di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare”.

Entrambe le norme, per concludere, distinguono, quindi, tra illecito di natura penale ovvero amministrativa, quest’ultimo presidiato da sanzioni pecuniarie, offrendo, tuttavia, differenti regolamentazioni procedurali e ponendo anche delle soglie quantitative di rilevanza penale molto diverse.

 

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