5 Maggio 2022

Lo sconto applicato ai dipendenti per acquisto di prodotti del datore: profili tributari

di Roberto Lucarini

L’Agenzia delle entrate, interessata a mezzo domande di interpello, fornisce spesso soluzioni a questioni riguardanti il reddito da lavoro dipendente. Di recente, con la risposta n. 158/E/2022, è intervenuta, infatti, su un caso riguardante la cessione a titolo oneroso, da parte del datore di lavoro ai proprio lavoratori, di beni commercializzati dall’azienda; su tale cessione viene però praticato uno sconto sul prezzo di listino. Da qui il dubbio circa l’emersione di un potenziale benefit soggetto a imposizione.

La società datrice di lavoro presenta la suddetta operazione fornendo, in sintesi, queste indicazioni:

– l’acquisto scontato avviene tramite apposito badge personalizzato per il lavoratore;

– il prezzo pagato dai dipendenti per i prodotti commercializzati, pur tenendo conto dello sconto offerto che risulta pari al 5%, rimane comunque superiore al costo sostenuto dalla società per l’acquisto dei beni ceduti;

– lo sconto concesso non è cumulabile con altri sconti, comunemente applicati alla clientela (sono, infatti, praticate delle campagne promozionali ai clienti, che prevedono uno sconto per un valore pari al 10%).

L’Agenzia delle entrate ricorda, anzitutto, come il reddito da lavoro dipendente, ex articolo 51, Tuir, sia “costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. La disposizione, come noto, espone il concetto dell’omnicomprensività del tipo reddituale, considerato come debba essere assoggettata a tassazione qualunque dazione originata dal rapporto di lavoro, quindi non monetaria ma in natura, a mezzo della quale si produca un vantaggio economico per il lavoratore beneficiario.

Nel ragionamento entrano poi in gioco sia l’articolo 51, comma 3, Tuir, circa il non assoggettamento al tributo di tali benefit per un valore annuo non superiore a 258,22 euro, che l’articolo 9, Tuir, riguardante la definizione di valore normale necessario all’eventuale valutazione del bene o servizio offerto.

Ma ciò che più rileva è legato alla citazione di due distinti interventi di prassi: la risoluzione n. 26/E/2010, dove l’Agenzia delle entrate fa presente come il “valore normale di riferimento possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale”; la circolare n. 326/1997, con la quale correttamente si ammetteva che dal valore del benefit debba essere sottratto quanto eventualmente pagato, dal beneficiario, al fine di ricevere il bene o il servizio.

Nel caso in esame, quindi, il lavoratore paga per la cessione il valore dei listino del bene ridotto dello sconto del 5%. Uno sconto che risulta, peraltro, inferiore a quello che l’azienda pratica, nelle proprie campagne promozionali, ai proprio clienti.

È, quindi, palese come questo scambio avvenga a titolo oneroso e con un corrispettivo che possa ritenersi congruo, dunque in linea con valore del bene ceduto.

L’Agenzia, infatti, conclude come, secondo l’indicazione fornita dalla datrice di lavoro, il prezzo scontato del 5%, pagato dai lavoratori risulti in linea col concetto di valore normale. Il lavoratore, per ottenere il bene, effettua un esborso “congruo”, tanto più considerato il fatto che esso supera anche l’effettivo costo che la società sostiene per acquistare il bene stesso.

Non c’è da stupirsi del dubbio sollevato dalla società datrice di lavoro; le trappole esistenti sul tema, infatti, sono sempre in agguato. Come si può notare, dunque, va ben monitorata ogni operazione del genere, al fine di evitare l’emersione di problemi a livello fiscale e contributivo. Operazione alla quale deve, quindi, seguire tutto un bel corollario di adempimenti burocratici.

Al solito: non ci facciamo mancare mai nulla!

 

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