28 Gennaio 2020

Tra Durc e Durf

di Roberto Lucarini

Cari amici, non temete; non sono impazzito, per il momento. Il titolo che ho messo è semplicemente lo specchio della nostra realtà burocratica, fatta di oneri, balzelli e trappole. Il fatto, poi, che si utilizzino questi acronimi rende il tutto ancora più buffo, ammesso che tale termine sia accettabile quando si parla di fisco e contribuzione.

È oramai tristemente noto il concetto di Durc, ovvero di Documento unico di regolarità contributiva. Sinteticamente: o sei regolare nel versare contributi e premi assicurativi, oppure scordati ogni agevolazione e il regolare pagamento da parte dei committenti dei lavori che hai fatto. Si tratta di una scelta politica, opinabile o meno, ma da rispettare.

Ciò che dà, invece, più fastidio, sul piano strettamente legato all’attività di controllo, è che il sistema pubblico deleghi al privato l’attività di “intelligence” riguardo alla regolarità dei versamenti; delega di cui le imprese farebbero molto volentieri a meno. Introducendo, ormai da tempo, il sistema di responsabilità solidale tra committente e appaltatore/subappaltatore, si è innescato un meccanismo selvaggio di controllo del primo soggetto sulle altre figure, all’unico fine di salvare la propria pelle. La definizione di selvaggio non l’ho data per caso: nella pratica, infatti, ci si imbatte nelle più stravaganti richieste documentali, da parte dei committenti, a volte davvero surreali. Manca ti chiedano di documentare quante volte, giornalmente, ti rechi in bagno.

Finora, dunque, abbiamo convissuto con questa roba.

E ora, tramite lo sfavillante Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio, ecco che il Legislatore (nel caso, meglio dire la Legislatrice, onde evitare accuse di sessismo) partorisce il fratello minore, ma non troppo, del Durc: il Durf. Giuro che non ho inventato io l’acronimo; mi sono limitato a leggerlo, scambiandolo all’inizio con la simpatica tavoletta con cui alcuni cavalcano le onde. Tale Durf è, of course, il Documento unico di regolarità fiscale.

Emesso dall’Agenzia delle entrate, se e quando ne sarà in grado, staremo a vedere, tale documento disinnescherà quel catastrofico procedimento che il Legislatore ha studiato tanto per continuare ad “agevolare” i contratti di appalto. Si tratta della nuova combinazione di adempimenti previsti, tra le parti in causa (committente, appaltatore e subappaltatore), per contratti di valore superiore ad € 200.000 annui. Non sto a dirvi come funziona, giacché occorrerebbe un tomo; mi limito a chiedervi se avete avuto la sventura di leggere il testo del D.L. in versione originaria. Una roba mai vista: una serie di adempimenti, intrecciati tra loro, che solo un soggetto che non abbia mai messo piede in un’azienda potrebbe inventare. Meno male che la conversione ha modificato un po’ le cose, sia pur restando sempre su un piano di vessazione burocratica.

In sostanza, se hai il Durf puoi evitare tutti i casini della nuova normativa; per averlo, però, occorrono certi requisiti (essere in attività da almeno 3 anni, in regola con le dichiarazioni, e aver eseguito, nel corso dell’ultimo triennio, complessivi versamenti per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi; non avere iscrizioni a ruolo o accertamenti per imposte dirette non versate per un importo superiore a € 50.000).

Bene, ecco il quadretto familiare riguardante i 2 fratelli “Documenti unici”.

Visto tutto questo mi chiedo: perché non partorire anche un terzo fratello, che potrebbe riguardare essenzialmente proprio i nostri amati Legislatori?

Si tratterebbe del Durm: Documento unico di regolarità mentale. Allora sì che ci sarebbe da ridere.

 

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