26 Marzo 2020

La facoltà di licenziamento è in quarantena

di Evangelista Basile

Con il D.L. 18/2020, il c.d. Cura Italia, il Governo è intervenuto per introdurre alcune misure di sostegno economiche a favore di lavoratori e aziende per far fronte all’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del COVID-19.

Tra le suddette misure, di particolare rilevanza sono quelle norme con le quali il Governo ha introdotto diverse limitazioni alla possibilità del datore di lavoro a procedere al recesso dal rapporto, in particolare agli articoli 23, comma 6, 46 e 47, comma 2.

L’articolo 23, comma 6, si occupa, conseguentemente e fino alla sospensione delle attività scolastiche, dell’introduzione di un congedo straordinario non retribuito per i lavoratori con figli di età compresa fra i 12 e i 16 anni, a condizione che nessun altro lavoratore del nucleo familiare usufruisca di benefici tali da permetterne la permanenza presso la propria abitazione.

In relazione ai lavoratori che usufruiscono del suddetto congedo, viene introdotto un vero e proprio divieto di licenziamento. Si tratta, in sostanza, di un caso tipizzato di assenza dal lavoro giustificata (o diritto potestativo di astensione), cui corrisponde – logicamente – il divieto di recesso per quella specifica ragione. A mio avviso, in sostanza, il Legislatore non ha voluto introdurre un divieto generale di recedere dal rapporto per i lavoratori che si trovino in quella particolare situazione, ma un divieto di esercitare il recesso motivato dalla particolare astensione dal lavoro. Ad esempio, il datore di lavoro potrebbe ben licenziare quel o quella dipendente laddove venisse a conoscenza di un fatto disciplinarmente rilevante integrante giusta causa, che nulla ha a che fare con la predetta astensione (che in quanto giustificata non potrà in nessun caso rilevare dal punto di vista disciplinare).

Si badi che, nel caso in cui il lavoratore non possieda i requisiti previsti dalla norma, oltre a potersi configurare l’assenza come ingiustificata, ben potremmo ricadere in un caso di abuso del diritto.

Tali caratteristiche valgono anche per l’articolo 47, comma 2, che prevede un ulteriore caso di diritto all’astensione dal lavoro (a cui corrisponde una limitazione della facoltà di licenziamento per giusta causa) per i genitori di figli disabili, che, a causa della chiusura dei centri di attività ad essi dedicate, si ritrovano nell’impossibilità di accudire il proprio figlio. Tale disposizione prevede giustamente che tali categorie di lavoratori debbano comunque previamente comunicare – e motivare – al datore di lavoro l’astensione.

Ma ancora, l’articolo 46 del Decreto va sicuramente oltre: a giudicare dalla lettura della norma, infatti, per 60 giorni a partire dall’entrata in vigore del Decreto, i datori di lavoro non possono procedere all’avvio delle procedure di licenziamento collettivo nonché ai licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. Tale sospensione dei licenziamenti per motivi di natura economica sembra, inoltre, riguardare anche le procedure avviate dopo il 23 febbraio e non ancora concluse, tanto con riguardo alla L. 223/1991, quanto all’articolo 7, L. 604/1966.

Insomma, se la lettera di licenziamento non è stata ancora consegnata, quel licenziamento – a prescindere dalla fase procedurale in cui si trovava all’entrata in vigore del Decreto – è congelato. Ovviamente, invece, ove la lettera di licenziamento fosse già stata consegnata, quel recesso è da ritenersi del tutto valido ed efficace.

Questo, insomma, il nuovo scenario normativo in cui si muove il potere di recesso del datore di lavoro ai tempi dell’emergenza da COVID-19, della cui fine – purtroppo – nessuno riesce a dare conferme. Tale incertezza si ripercuote ovviamente anche sui tempi di validità delle norme citate: i permessi sono infatti legati a un indefinito lasso temporale, legato alla sospensione delle attività didattiche; i licenziamenti a un termine di 60 giorni che nulla esclude, visti i recenti accadimenti, possa essere prorogato, lasciando così nel limbo anche tutti quei recessi che erano già stati avviati in termini procedurali (ma non perfezionati), prima dell’introduzione del Decreto.

 

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