2 Marzo 2017

Fine dell’egemonia della contrattazione collettiva nella regolamentazione del part time

di Luca Vannoni

Se la disciplina previgente prevedeva una delega espressa e generale di intervento per la contrattazione collettiva in materia di part time all’articolo 1, comma 3, D.Lgs. 61/2000, ora negli articoli 4-12, D.Lgs. 81/2015, vi sono solo deleghe specifiche non vincolanti, in quanto l’assenza di regolamentazione collettiva può essere superata, a seconda dell’istituto, applicando i parametri normativi (lavoro supplementare: nel silenzio della contrattazione collettiva, si applicano i limiti massimi di variazione e il compenso minimo previsto dalla legge) ovvero procedure di certificazione delle clausole individuali (come nelle clausole elastiche).

Questo passaggio merita di essere analizzato alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali, che, pur legati alla disciplina previgente, possono illuminare sulla reale valenza di eventuali vincoli disposti dalla contrattazione.

Particolarmente sintomatico è il Tribunale di Padova, sentenza n. 2952 del 27 ottobre 2016.

La vicenda affrontata riguarda un contratto di lavoro di apprendistato a tempo parziale, carente su molti aspetti da un punto di vista formale e con un orario di lavoro inferiore al minimo contrattuale, tanto che la DTL di Padova, mediante l’istituto della disposizione prevista dall’articolo 14, D.Lgs. 124/2004, aveva proceduto con l’adeguamento con il parametro del Ccnl.

Nel caso di specie, la norma in questione che ha legittimato l’ispettore all’intervento con disposizione è l’articolo 1, comma 3, D.Lgs. 61/2000, che demanda(va) ai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o quelli aziendali sottoscritti con Rsa o Rsu la possibilità di determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro a tempo parziale. Tuttavia, pur essendo evidente che la norma potenzialmente, per il suo carattere generale, rientrerebbe nell’ambito di adottabilità della disposizione, il Tribunale precisa, in modo diretto e tranciante, che “anche l’ispettore del lavoro è tenuto al rispetto dell’art. 1372 codice civile secondo cui il contratto – in tal caso di lavoro subordinato – ha forza di legge tra le parti”.

Scendendo nel dettaglio, il Tribunale ammette la possibilità che l’ispettore possa sindacare gli accordi che deroghino all’orario minimo di lavoro previsto dal Ccnl, ma è fondamentale la motivazione dell’atto e, ovviamente, la causa dell’accordo individuale in deroga. L’imposizione in via amministrativa dell’orario minimo da Ccnl può infatti giustificarsi solo quando venga dato adeguato conto delle motivazioni per le quali quella richiesta non corrisponde all’effettiva volontà del lavoratore ovvero è riconducibile, in via diretta o indiretta, ad un atto coercitivo o unilaterale del datore di lavoro. Altrimenti, “l’ispettore del lavoro finirebbe egli stesso per porre in essere un atto coercitivo nei confronti del lavoratore, il quale sarebbe costretto a prestare la propria opera anche in periodi di tempo che egli voleva riservare ad altre attività”.

Ora, tornando al quadro delle fonti, venuta meno la delega generale ex D.Lgs. 61/2000, si ritiene che venga meno lo stesso potere di disposizione, al di là della motivazione della deroga, in quanto non vi è più nessuna norma di cornice su cui possa far leva tale provvedimento ispettivo.

Inoltre l’inderogabilità con contratto individuale, spesso sostenuta dagli organi ispettivi, perde il supporto normativo centrale, che ovviamente semplifica la possibilità di concludere accordi individuali in deroga.

Sono comunque necessarie valutazioni accurate: se si dovesse dimostrare la natura non migliorativa dell’accordo individuale, potrebbe essere contestato il mancato rispetto della contrattazione collettiva ai sensi dei commi 1175 e 1176, articolo 1, L. 296/2006, determinando una condizione bloccante in materia di agevolazioni (si veda Cassazione n. 29923/2008).

Si rileva, infine, che vincoli di orario minimo non fanno altro che incrementare l’esigenza, e l’utilizzo, di fattispecie come il lavoro intermittente e il lavoro accessorio, dove il rischio di precarietà è sicuramente maggiore rispetto a un contratto a tempo parziale.

 

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