11 Giugno 2019

Le novità del Decreto Crescita sulle agevolazioni dei lavoratori impatriati

di Cristian Valsiglio

L’articolo 5, D.L. 34/2019 (c.d. Decreto Crescita), apporta sostanziali novità al regime agevolativo previsto per i c.d. impatriati.

In attesa della conversione del predetto Decreto è utile partire da una considerazione iniziale, una speranza, ossia che la nuova disposizione consenta la possibilità di applicare l’agevolazione senza la necessità di una pletora di chiarimenti dell’Agenzia delle entrate, che sono stati pubblicati via via negli anni relativamente alla disposizione in vigore.

La nuova disposizione prevede una serie di modifiche all’articolo 16, D.Lgs. 147/2015, che possono essere così sintetizzate:

  • aumento dell’esenzione dal 50% al 70%;
  • semplificazione nell’identificare i soggetti agevolati;
  • prolungamento del beneficio per ulteriori 5 anni in caso di alcuni requisiti soggettivi;
  • agevolazioni per i soggetti che trasferiscano la residenza dall’estero a zone del Mezzogiorno.

Le prime 2 novità devono essere lette congiuntamente, in quanto i percettori di reddito di lavoro dipendente, assimilato a quello di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e d’impresa (quest’ultima categoria agevolata solo dal periodo d’imposta 2020), potranno essere assoggettati a tassazione per il 30% del reddito prodotto, a condizione che i predetti contribuenti siano stati residenti all’estero per oltre 2 periodi d’imposta e mantengano la residenza in Italia per almeno 2 anni successivamente al trasferimento.

L’attività di lavoro dovrà essere svolta prevalentemente in Italia, mentre la nuova disposizione agevolativa non richiede che l’impresa debba essere residente nel territorio dello Stato e che il lavoratore rivesta ruoli direttivi o di elevata qualificazione e specializzazione.

In merito al concetto di residenza è inoltre specificato, anche con effetti retroattivi con impatto sui contenziosi in corso, che ai fini della definizione di residente all’estero non è richiesta l’iscrizione all’Aire, in quanto è sufficiente che il concetto di residenza sia definito in base a Convenzioni internazionali applicabili.

L’agevolazione dura 5 anni, ma a determinati condizioni il beneficio può essere prolungato di altri 5 anni.

Per gli ulteriori 5 anni l’esenzione fiscale è riconosciuta nella misura del 50% (e non più del 70%) se il dipendente abbia almeno un figlio minore a carico o, in alternativa, sia divenuto proprietario di un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia successivamente al trasferimento. L’esenzione fiscale aumenta al 90% qualora il lavoratore abbia almeno 3 figli minorenni a carico.

Per i soggetti che trasferiscono la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia, l’esenzione fiscale anche per i primi 5 anni è fissata nella misura del 90%.

È bene precisare che tutte le predette modifiche si applicheranno ai soggetti che trasferiranno la residenza in Italia a partire dal 2020, motivo per il quale nei prossimi mesi dovrà essere posta particolare attenzione alle decorrenze del trasferimento della residenza nel rispetto dell’articolo 2, Tuir, con l’obiettivo di non sperperare agevolazioni consistenti che possano favorire il rientro dall’estero di lavoratori in Italia.

A tal fine si ricorda che, a mente dell’articolo 2, Tuir “si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

In attesa delle opportune conferme dell’Agenzia delle entrate, che potranno avvenire non prima della conversione del Decreto, è chiaro che la data del 30 giugno potrebbe rivelarsi estremamente importante come primo “gate” all’agevolazione.

 

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