24 Settembre 2020

Lo sblocco bloccato dei licenziamenti

di Evangelista Basile

Il D.L. 104/2020, c.d. Decreto Agosto, all’articolo 14, ha dettato le nuove regole in tema di licenziamenti, compiendo un teorico passo verso la ripartenza dei licenziamenti rispetto al divieto tout court dei precedenti decreti emergenziali che rischia però di rimanere solo sulla carta.

In particolare, il nuovo articolo 14 si presenta come un elenco di condizioni e di eccezioni a un divieto che diventa oggi, per certi versi almeno, “flessibile” e “mobile”.

Tali caratteristiche, apparentemente positive, nascondono invece più di qualche insidia. A leggere il primo comma dell’articolo, sembrerebbe che il divieto sia condizionato alla fruizione delle integrazioni salariali o (a un ancora fantomatico) esonero contributivo.

Possiamo, dunque, dire che le aziende che non percepiscono aiuti possono procedere ai licenziamenti?

La risposta è ni.

Se, infatti, un’interpretazione costituzionalmente orientata farebbe propendere per il sì, la locuzione “non abbiano integralmente fruito” di cui al primo comma rende la legge interpretabile anche nel senso che il divieto di licenziamento opererebbe tanto per quelle imprese che effettivamente usufruiscono dei trattamenti di integrazione salariale, quanto per quelle che potenzialmente potrebbero usufruirne. E, anzi, il paradosso è che un’interpretazione del genere (del tutto sostenibile e in linea con quell’ovvio garantismo che i giudici tenderanno ad avere in un periodo storico così difficile per i lavoratori), unita alla mobilità temporale del divieto, condurrebbe a una possibile riapertura dei licenziamenti prima nei confronti di quelle imprese che hanno usufruito della Cig fin da subito che non di quelle aziende che, invece, non ne hanno mai neppure fatto richiesta e per le quali il divieto opererebbe, dunque, fino a dicembre 2020.

A complicare il quadro vi sono anche le “eccezioni” previste dal comma 3:

  • in caso di cessazione definitiva dell’attività d’impresa, con messa in liquidazione senza continuazione della stessa, anche parziale, salvo il caso di configurabilità dell’ipotesi di trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda);
  • per l’ipotesi di fallimento in cui non sia previsto l’esercizio provvisorio; nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.

In questi casi (e sembrerebbe solo in questi) vi è spazio per procedere ai licenziamenti di matrice economica. Attenzione, però, che le casistiche eccezionali non sono prive di rischi, dovute a eventuali riqualificazioni giudiziali dell’operazione straordinaria intrapresa (si pensi, ad esempio, all’eventualità che la cessazione si configuri in realtà quale cessione d’azienda, che ricadrebbe invece esplicitamente nel divieto).

Sembrerebbe, dunque, preferibile seguire la strada dell’accordo aziendale autorizzatorio, attraverso cui è possibile recedere dai rapporti di lavoro con la semplice “adesione” all’accordo collettivo da parte del singolo lavoratore, il quale potrà accedere – per espressa previsione del comma 3 – alla NASpI, quand’anche il recesso si configuri quale risoluzione consensuale.

Ecco quindi che di “ritorno alla normalità” si può parlare solo nel senso che l’oscurità più o meno cosciente delle norme lascia nuovamente le imprese in balia delle interpretazioni giudiziali, rischiando, di fatto, di bloccarne l’operatività.

 

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